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L’album del rilancio in stile anni ’80. Il precedente “Drama”, dell’80, privo dell’apporto di Rick Wakeman e, clamorosamente, di Jon Anderson, aveva segnato una temporanea separazione dei membri del gruppo. Ma Chris Squire e Alan White, nel processo di formazione di un nuovo gruppo di nome Cinema, chiamano alle tastiere uno Yes-man come Tony Kaye e alla chitarra il sudafricano Trevor Rabin, autore in seguito di parecchie colonne sonore cinematografiche. Alla nuova formazione decide infine di aderire anche Jon Anderson, cosicché si opta nuovamente per la sigla Yes. Alle composizioni partecipa attivamente anche Rabin. Produttore, e coautore di una delle canzone, è Trevor Horn, sostituto di Anderson in “Drama”. Il disco è a suo modo paradigmatico, e un modello, di certo rock pomposo degli anni ’80, fatto di voci corali e sovrapposte, ritmica semplificata rispetto all’epoca del progressive, chitarre accattivanti e di facile presa sull’ascoltatore. Certi passaggi di “90125” possono ricordare i Queen o addirittura meteore come gli Europe. La chitarra di Rabin è pienamente orientata al presente, è assai diversa da quella di Steve Howe. Gli assoli sono tradizionali, con schitarrate effettistiche e addirittura, in “City of Love”, un accenno di “motosega”, tipo Joe Satriani. Si capisce bene come i fans degli Yes non formino un gruppo unitario (come del resto quelli dei Genesis): il suono delle origini è lontano, i brani hanno generalmente una struttura più tradizionale e semplice, un ritornello preciso che fa da perno. Ma, nonostante tutto ciò, rimane un’opera personale in cui, adattate ai nuovi tempi, permangono certe modalità, certe aperture vocali e strumentali di marca Yes: si ascoltino ad esempio “Hold on” e “It can Happen” in cui, lasciando perdere gli inevitabili ritornelli (che avranno sicuramente i loro estimatori), troviamo passaggi davvero suggestivi e imponenti, che in qualche modo ricordano gli antichi fasti: così come la tastiera di Kaye in “Our Song”. La bravura di Anderson e la sua naturalezza di canto sono sempre intatte. “Cinema” è un pezzo interamente strumentale, poco più di due minuti, a ricordo del gruppo mai nato: movimenta l’ascolto ma non è nulla di speciale. In “Leave it” gli intrecci e le sovrapposizioni vocali sono francamente eccessivi, a livelli di stucchevolezza per noi difficilmente digeribili. “City of Love” è forse il brano più grintoso e rockeggiante. In “Changes” è in evidenza la voce di Trevor Rabin, principale spalla di Anderson in tutto l’album: insieme a “Hearts” e a “Leave it” costituisce, a nostro avviso, l’episodio più debole di “90125”. Opera di successo, specialmente grazie alla famosa “Owner of a lonely Heart”. Il titolo si riferisce al numero occupato nel catalogo della casa discografica Atlantic. Trevor Rabin, che suona anche le tastiere, inciderà altri tre dischi con gli Yes in questa formazione: “Big Generator” del 1987, “Union” del 1991 (dove sono presenti tutti i membri passati e presenti del gruppo), e “Talk” del 1994.