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Dopo il grandissimo successo di “Parklife” il gruppo di Damon Albarn si trova nella non facile situazione di dare un seguito qualitativo alla loro azione musicale. Il titolo sembra dirla lunga sui loro sentimenti del momento, probabilmente oppressi dalla EMI (la major alla quale la piccola Food è legata) e dalle aspettative di milioni di appassionati. Per di più il confronto con gli Oasis è al diapason, esacerbato da continue provocazioni giornalistiche e da alcune uscite non felici di quei mattacchioni dei Gallagher Brothers (l’Aids augurato ad Albarn ed al bassista James divenne quasi una bestemmia rituale nell’intero Regno Unito). Da questa situazione piuttosto stressante il gruppo partorisce un’opera eccezionale, la quale fonde il loro recente passato di english songs ad una sempre più impellente voglia di nuove direzioni da seguire o da inventare. Il “vecchio” lo troviamo in pezzi quali “Country house” (ultima vittoria sugli Oasis per la conquista della Top One, in competizione con “Roll with it” uscita il giorno stesso!) e “Charmless man”, ambedue scatenate e molto “kinksiane”, nella classica ballata “Best days” ed in “Ernold Same”, grande esempio di cinismo letterario inserito in una melodia da vecchia giostra di periferia: geniale. Nuove sensazioni e nuovi suoni si notano invece in “He thought of cars” (indolente e dissonante) e “Top man”, riecheggiante certi Madness inusitatamente kraftwerkizzati. Highlight dell’album, “The universal”, vertiginosa ballata che nasconde (neanche poi tanto…) nel suo DNA due sigle piuttosto famose : Burt Bacharach e Lennon/McCartney…