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L’uscita di “We love the city”, avvenuta più o meno nello stesso periodo del live degli Oasis, mi rende molto contento, specialmente per due motivi. Il primo è che gli Hefner si confermano come una realtà molto interessante nell’odierno panorama pop inglese, piuttosto avaro di novità eclatanti, da qualche tempo a questa parte. Il secondo motivo è strettamente legato al primo e lo potrei intitolare “Cediamo Il Passo Alle Nuove Leve”. E’ impossibile non notare la differenza di freschezza e di spunti tra un disco come “We love the city” e la celebrazione elefantiaca di “Familiar to millions”. L’album degli Hefner, guidati dal brillante leader Darren Hayman, è scoppiettante, incisivo, pieno di idee, irriverente, in una magica parola, vivo. Se il fenomeno brit-pop non fosse stato già archiviato in una qualche cantina di una “Country house”, verrebbe da proclamare questo complesso londinese tra i leaders del movimento, assieme a Blur, Supergrass e Pulp. A proposito di questi ultimi, lo stile della band e la voce del cantante sembrano essere in debito di parecchie sterline con quell’adorabile/insopportabile dandy chiamato Jarvis Cocker. Le canzoni di Hayman sono generalmente positive, sempre però con quel filo di cinismo che distingue un gruppo londinese dal resto del mondo. Ascoltate “The day that Thatcher dies”, perfetto esempio di quanto appena detto ed una delle tracce migliori, insieme alle fulminanti “We love the city” (London, of course!), “The greedy ugly people”, “Good fruit”, “Painting and kissing” e “The greater London Radio”. Bello e lieve; lieve è bello.