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Terzo disco intitolato sobriamente con il suo nome e cognome, primo capitolo di una nuova avventura discografica con la emergente CGD, a scapito della gloriosa RCA, “Paolo Conte” non fa che mantenere e confermare l’altissimo standard del Baffo Astigiano. Il fatto nuovo ed eccitante è che tutta la critica e perfino una parte non marginale di pubblico sembra accorgersi dell’esistenza di un Genio, magari nato a poche decine di chilometri da casa. C’è da sottolineare che questa tardiva scoperta potrebbe avere radici anche in un determinato momento storico musicale. Il 1984, Orwell a parte, è l’anno in cui s’impone a livello internazionale la corrente cool jazz, ricca di artisti importanti come Sade, Matt Bianco, Working Week, Joe Jackson, i quali si esprimono attraverso opere di grande livello. Viste le indubbie qualità del Nostro nel produrre atmosfere jazzate, il gioco è praticamente fatto, ed è un gran bel gioco. La direzione artistica di Antonio Marangolo, eccellente sassofonista, è di rilevante importanza nello sviluppare uno stile sempre più personale e raffinato e tra gli strumentisti troviamo icone come Ares Tavolazzi (ex Area) al basso e Ellade Bandini (Guccini, Capossela, chi più ne ha più ne metta) alla batteria. Tra le dieci tracce dell’album vi sono pietre miliari dell’epopea contiana: “Sparring partner”, “Come-di”, “Sotto le stelle del jazz” (fra le più amate dai fans), il terzo e per ora ultimo episodio del Mocambo, “Gli impermeabili”, la quale riesce ad essere di una bellezza solenne e schiva contemporaneamente. Il Sudamerica è nuovamente accarezzato dalla sfuggente “L’avance” e la canzone d’autore trova grande rilievo in “Come mi vuoi?”. Chiude “Macaco”, altro magico diamante di un paziente intagliatore. No, la frase non ce la siamo dimenticati: ” …le donne odiavano il jazz, ‘non si capisce il motivo’… ” (da “Sotto le stelle del jazz”)