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Intitolato come il precedente, “Paolo Conte” ne è anche l’ideale prosecuzione. L’humus prettamente provinciale, un po’ demodé, impregna la totalità delle composizioni. Spesso sembra di stare dentro in uno di quei meravigliosi e dimenticati film con Ugo Tognazzi, storie di commissari sfigati, di perditempo, di cacciatori di sottane, di imprenditori delusi e pentiti. La fisarmonica è presente in molte tracce, sottolineando la forma evocativa di pezzi come “Chi siamo noi?”, storia alla “I vitelloni” aggiornata agli anni ’70, e rivelando le prime commistioni di influenze contiane, ovvero la nostra canzone popolare e quella transalpina. L’uso dell’accordeon/fisarmonica sarà un appuntamento fisso per gli appassionati, arrivando più avanti a toccare corde esotico/sudamericane attraverso l’ingresso del bandoneon, a completare questa triade di strumenti così passionali, così latini.
“Genova per noi” è un’altra stella del disco, una delle canzoni più famose dell’astigiano, miracolosamente in equilibrio tra slanci verso l’ignoto (Genova appunto, il porto, il mare, l’oltremare) e ripiegamenti dolceamari verso l’interno, la campagna, le sicurezze un po’ noiose quanto suadenti. Fra le pieghe di “Genova…” s’insinua un inusitato sitar, magari arrivato nella città della Lanterna con un marinaio di Delhi, rimasto in uno di quei particolari negozietti in qualche carruggio, come pegno di una notte d’amore. Il lavoro parallelo di Paolo (curatore fallimentare) viene ripreso in “La ricostruzione del Mocambo”, secondo capitolo della Mocambo Story ed altro memorabile ritratto di questi sognatori a buon mercato coi quali l’uomo Conte ha a che fare e dai quali rimane totalmente affascinato. Via dunque su una fiammante “Topolino amaranto”, corriamo a cercare la nostra frase. Sempre da “Genova per noi”, “…ma la paura che ci fa quel mare scuro che si muove anche di notte e non sta fermo mai…”