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L’ottavo disco di Conte ha diverse peculiarità che ne fanno un momento particolare nella carriera del compositore/cantautore piemontese. In primis, notiamo la splendida copertina di Hugo Pratt, a suggellare l’incontro di due personalità con molte e bellissime cose in comune (soprattutto la passione per le donne e per l’esotico, che è un po’ la stessa cosa). Ad un primo ascolto sorprende il ritorno ad un suono scarno, essenziale, un po’ come quello dei due albums d’esordio. La mancanza (per scelta) di batteria e percussioni viene surrogata da una fantastica ritmica sorretta da contrabbasso e da una coppia di chitarre. Da notare l’esordio di Jino Touché appunto al contrabbasso e la presenza in “Happy feet” di Daniele Di Gregorio, unico pezzo in cui le percussioni hanno un piccolo ruolo. Jino e Daniele sono i primi due musicisti-tassello di quella che diverrà una formidabile e stabile Big Band nei fortunati anni ’90. Singolare inoltre l’introduzione di alcuni sintetizzatori, suonati da Conte stesso in “Canoa di mezzanotte”, episodio francamente non molto convincente.
Al contrario, il vecchio Lato A del vinile (fino a “Il maestro”) è assolutamente eccezionale, di un livello raramente raggiunto da qualsiasi artista italiano ed anche estero. Mi viene in mente la Side A di “Moondance”, disco feticcio di Van Morrison, considerata da qualche critico “la migliore Side A” della storia. Anche se adoro stilare classifiche, non so se quella è davvero la migliore, ma sono sicuro che è una delle migliori, in ottima e non affollata compagnia, fra cui quella di “Parole…”. Lo swing di Conte si asciuga e si rapprende in “Dragon” e “Ho ballato di tutto”, due pezzi tesi e viscerali. “Mister Jive” è la resurrezione di Cab Calloway e del Cotton Club, mentre “Il maestro” ci porta (ironicamente) in un mondo vicino all’Opera, a Giuseppe Verdi. Le due ballate sono meravigliose, specialmente “Colleghi trascurati”, con la sua fisarmonica dolceamara legata a doppio filo con la poetica contiana. Umanamente, il Lato B non può reggere a tanta bellezza ed obiettivamente contiene tracce non indimenticabili, un po’ incerte, se si eccettua di “Lupi spelacchiati” e del divertente finale, “Happy feet”. Per concludere, un album non facile, introverso, che si fa amare solo dandogli fiducia, come tutti gli introversi. Dalla title track, un probabile cenno autoironico: “Ah formidabile, il tuo avvocato è proprio un asino. No certe cose non si scrivono…che poi i giudici ne soffrono…