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Da Oxford, un nuovo gruppo formato da cinque elementi, tra cui l’ex Mystics ed ex produttore dei Supergrass Loz Colbert (alla batteria) e Mark Gardener, vecchio chitarrista dei disciolti Ride. Gli altri tre elementi sono Jason King alle tastiere, Hari Teah al basso e Sam Williams all’altra chitarra (oltre a hammond e piano). Quest’ultimo mette la firma su tutti i brani dell’album, alternativamente insieme a diversi componenti della band.
“Ready To Receive” parte con il pezzo omonimo, dal bell’inizio in crescendo, un po’ Kula Shaker elettronici, un po’ dance scarna e scintillante. “Small” lascia straniati, per via del suo intermezzo bossanova che sfuma in un giro di basso New Wave primi anni ’80. Dopo la psichedelica e déjà vu “Space Trash”, ecco “Animal House”, un’autodedica tribale e potente, con ottimi suoni. “Wasted” recita un po’ la parodia della vecchia “Skin and Bone” dei mai troppo citati Kinks, mentre “Animal”, a dispetto di una partenza aggressiva e tosta, scade anch’essa in uno stile serioso e sinceramente palloso tipico di alcune produzioni New Wave. La seconda metà dell’album è aperta da “Speakeasy”, una bella ballata con classici cori botta/risposta, seguita da “Essence”, la quale suona come forse potrebbero suonare gli Shamen se fossero rimasti ancorati ai suoni del loro disco d’esordio, “Drop”. La bassista Hari Teah canta “Sodium Glow”, traccia in stile Massive Attack. “Sunday Driver” apre la mirabolante serie finale, un trio di canzoni che fanno salire di molto la qualità dell’album e che gettano un ponte verso una seconda prova che potrebbe essere quella della maturità. “Sunday Driver” è leggermente jazzata, con cori alla Beach Boys, strana ed affascinante se comparata allo stile sentito nelle precedenti tracce. Continua questo miracolo in extremis la malinconica ballata “Always Be” e la sfuggente “Mantra”, inquietante nell’assolo di uno spiritato harpsichord. “Ready to receive” si chiude con queste tre grandi canzoni, che sono altrettante grandi promesse.