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E giunse il capolavoro? Secondo noi (e non solo noi) sì. Un concept album interamente strumentale, giacché i tre o quattro interventi della voce sono costituiti da vocalizzi di sapore strumentale.
Un’opera dalla struttura originale dunque, affascinante: ispirata al racconto omonimo di Paul Gallico, in cui si narra dell’amicizia fra un’oca delle nevi ferita e un guardiano di faro, in occasione della ritirata di Dunkerque del 1940, quando il corpo di spedizione britannico sul continente dovette essere reimbarcato, insieme a soldati francesi, e riportato in Inghilterra.
Musica quasi impressionistica, distribuita in sedici quadri legati fra loro mirabilmente a svolgere un’unica coerente narrazione, dove troviamo riprese e variazioni che compattano la struttura. I Camel fanno quello che riesce loro meglio: suonare. E lo fanno in modo più semplice e immediato, più contenuto ma efficacissimo, rispetto ad altre loro realizzazioni; le linee melodiche e quelle degli strumenti risaltano nette, senza sbavature, ma con la consueta purezza e serenità, creando un’atmosfera indimenticabile in cui la musica esprime al meglio ciò che vuole significare.
Il quartetto britannico si avvale del contributo discreto di strumenti d’orchestra, sempre pertinente al contesto strumentale e mai esornativo o ridondante; diremo ‘necessario’. L’esordio pacato e in crescendo di “The Great Marsh”, arricchito in sottofondo dal verso dei gabbiani, evoca atmosfere marine, e sbocca senza soluzione di continuità in “Rhayader”, con cui entriamo alla grande nel pieno dell’opera: un ingresso che è una gioia per l’orecchio. Il brano è costituito da un tema principale che troviamo all’inizio e alla fine, spezzato da un intermezzo; il flauto di Latimer conduce la melodia, puntualmente contrappuntato dal pianoforte di Bardens e dal basso di Ferguson, tre linee chiaramente avvertibili nella loro bellezza essenziale e imponente allo stesso tempo. Un disteso lirismo, difficilmente eguagliabile anche da brani vocali: forse il meglio dell’intero album.
Segue “Rhayader goes to Town”, quadro vigoroso che offre un sontuoso assolo chitarristico di Latimer. Dopo “Sanctuary” e “Fritha” troviamo “The Snow Goose”, composizione luminosa e rilassata, affettuosa, in pieno stile Camel, seguita da “Friendship”: si ascolti come viene espresso a meraviglia il rapporto di amicizia fra l’oca e il guardiano! Un impeccabile e giocondo dialogo di strumenti a fiato, il flauto di Latimer, fagotto, oboe, clarinetto. L’abilità e la raffinatezza compositiva della coppia Latimer/Bardens (autori di tutte le tracce) risalta qui nettamente.
La malinconica “Rhayader alone”, che riprende dapprima, variandolo leggermente, il tema principale di “Rhayader”, lascia il posto a “Flight of the Snow Goose”, un altro piccolo gioiello di espressività musicale: musica piena della gioia e leggerezza del volo; il volo ritrovato dell’oca risanata dalla ferita. Ci limitiamo a segnalare ancora almeno “Fritha alone”, per pianoforte solo, e “La Princesse Perdue”, che in chiusura del disco fonde rielaborandoli i temi di “Flight…” e di “The Snow Goose”: bella l’apertura degli archi, che intervengono con moderazione lungo tutto questo quadro riassuntivo dell’intera opera: la pennellata d’oboe è un ulteriore tocco di classe. Conchiude il tutto la ripresa di “The Great Marsh”.
Insomma: imperdibile.
Nell’ottobre del ’75 i Camel eseguirono “The Snow Goose” dal vivo alla Royal Albert Hall, accompagnati dalla London Symphony Orchestra: la registrazione del concerto confluì nel doppio LP “A Live Record”, pubblicato nel 1978.