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“…And Then There Were Three..” è forse il disco più indefinibile dei Genesis, certamente il pìù dimenticato. Giunse in un momento molto particolare, dopo l’abbandono di Steve Hackett e l’arrivo del punk, con il trio indeciso se svoltare sul pop o continuare su temi complessi. Il risultato è un lavoro ibrido, con molte melodie miste ad echi del glorioso passato.L’unica traccia del disco che tutti ricordano è la zuccherosa cantilena “Follow You Follow Me” mentre nelle restanti canzoni ci sono gli ultimi scampoli progressive del periodo. L’incalzante “Down And Out” (con un pazzesco tempo in 10/8) e “Burning Rope”. sembrano ricollegarsi al periodo di ” A Trick Of The Tail” e “Wind And Wuthering” anche se lì era la splendida chitarra di Hackett a fare la differenza.
Tra i momenti soft spicca la dolcezza di “Undertow” e la sommessa “Say It’s All Right Joe”, triste storia di un ubriacone fallito. Non male anche la soffusa “Many Too Many” e il potente ritmo cadenzato di “Deep In The Motherlode” dove si mettono in evidenza la batteria di Collins e le tastiere inconfondibili di Tony Banks. Abile al basso, Mike Rutherford fa quello che può come chitarrista solista. Con il successivo “Duke” i Genesis acquisiranno parecchi nuovi fans mentre i vecchi appassionati torneranno a (ri)ascoltarsi i vecchi capolavori senza avventurarsi oltre le “colonne d’Ercole” di “Seconds Out”. Da allora “…And Then There Were Three…” è stato del tutto accantonato e lo stesso gruppo, dal tour del 78, non ha più eseguito dal vivo nessuna sua canzone (tranne, per un breve periodo, “Follow You Follow Me”). Al di là delle considerazioni, la malinconia che aleggia su questi brani simboleggia in modo inequivocabile il tramonto dell’era progressiva dei magici 70’s.