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Per definire in poche parole Robert Wyatt possiamo dire che è uno degli artisti più geniali che il rock inglese abbia mai avuto. Non solo batterista e fondatore di due gruppi leggendari come i Soft Machine e i Matching Mole (loro la dolce “Oh Caroline” ripresa da Max Gazzè) ma anche compositore, sperimentatore e poeta, Wyatt scrisse il suo capolavoro “Rock Bottom” durante la degenza in ospedale in seguito al grave incidente che, nel 73, paralizzò per sempre le sue gambe. Il disco è un opera di grande bellezza, al di fuori del tempo e delle mode, con atmosfere sognanti e sofferte al tempo stesso. Prodotto da un altro celebre batterista (Nick Mason dei Pink Floyd) è arricchito dalla partecipazione di quasi tutti i musicisti della scena “canterburiana” , ovvero Soft Machine, Caravan e Gong. Si inizia con la struggente e fiabesca “Sea Song”, che vede all’opera solo la voce (assolutamente unica) e le tastiere di Wyatt insieme al basso di Richard Sinclair. “Last Straw” è un jazz notturno e visionario mentre in “Little Red Riding Hood Hit The Road” spicca il suono trionfale della tromba di Mongezi Feza. “Alifib” riflette lo spirito allucinato di un malato con una sola parola ripetuta ossessivamente e ritmata in modo ipnotico dal respiro. L’incubo diventa totale in “Alifie”, un vero delirio scandito da una cantilena senza senso. “Little Red Robin Hood Hit The Road” comincia con una marcetta sulla quale si stende uno scintillante assolo di Mike Oldfield con note lunghissime. Sul finale c’è spazio per anche per la viola di Fred Firth. Che dire di più su “Rock Bottom”? Per il piacere di chi lo ha sempre amato, Wyatt oggi incide ancora grandi dischi, ma ormai lo fa molto sporadicamente. E da una sedia a rotelle guarda malinconicamente il mondo che scorre sempre più veloce.