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Arrivato ai 35 anni di onorata carriera, il grande artista brasileiro si e ci regala il 34° album: dai Caetano, fai un piccolo sforzo, aggiusta questa leggera disparità con una bella doppietta, come il tuo compaesano Romario! Non puoi immaginare quanto ci faresti felici.
E’ proprio vero, se dal grande centravanti è naturale aspettarsi molti goals, da una leggenda come Veloso è altrettanto normale attendersi qualcosa di straordinario. Le ultime uscite avevano parecchio soddisfatto critica e pubblico, specialmente l’intenso omaggio a Fellini ed a Nino Rota. Con “Noites do norte” l’uomo di Bahia sceglie di riportarci nel suo paese, attraverso strade e sentieri non molto battuti. L’opera è infatti a volte aspra, un po’ selvaggia e primitiva, tesa a far risaltare le origini africane di una grossa fetta di popolazione brasiliana. Quindi ci troviamo di fronte a composizioni spesso asciutte, con molte percussioni, a controbilanciare sovente linee melodiche chiare e nette. Tutto ciò sembra stridere, in special modo ai primi ascolti, ma poi “Noites…” si insinua come un “Cobra coral” e ci morde iniettandoci un veleno molto dolce chiamato feeling.
Nothing more than feeling, quindi? No, anche piacere e conoscenza. Il piacere di ascoltare un capolavoro come “Meu Rio”, meravigliosa canzone tributo ad una città unica come Rio de Janeiro, o di riascoltare “Sou seu sabia”, vecchio standard dell’autore prestato in origine alle preziose corde vocali di Marisa Monte. La conoscenza di un dimenticato poeta e uomo politico brasiliano del 19° secolo, Joaquim Nabuco, il quale si battè per l’abolizione della schiavitù e dal quale Veloso estrapola dei bellissimi versi che compongono la canzone che intitola l’intero lavoro.
Non è tutto oro in “Noites do norte”: “Rock’n’Raul” (Raul sarebbe Raul Seixas, rocker psichedelico-metafisico di gran successo negli anni ’70) sembra soffrire di qualche sfasatura, come se un Battiato si mettesse a cantare di malavoglia… Anche la cover di Jorge Ben (“Zumbi”) non convince appieno, ma poi ci si imbatte nella leggera malinconia tribale di “13 de Maio” o nella colonna sonora in attesa di un film degno chiamata “Michelangelo Antonioni”, cantata in italiano, con splendidi arrangiamenti d’archi ed uno xilofono a rendere il contesto più lieve.
Qualche volta ho sentito questa stramba (?) teoria: una o due tracce di livello inferiore rispetto alle altre sono il toccasana di un intero album. Chissà, forse è così, per fortuna Veloso non va oltre la media ed in più ci fa dono di altre dieci tracce decisamente fuori dall’ (altra) media.