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Dopo i due per i Genesis, anche per i Van der Graaf la Virgin Records (detentrice dei diritti della scomparsa Charisma) sforna un cofanetto retrospettivo in quattro CD, assai simile anche nella confezione. In verità queste edizioni denunciano ben presto cedimenti strutturali nella legatura, non molto gratificanti per l’acquirente, considerato anche il prezzo non proprio da saldo.
Anche il box dei Generator, che ci era parso di primo acchito un po’ più robusto, ha subìto pochi minuti or sono il distacco del libretto centrale di accompagnamento: libretto meno ricco e interessante, dal punto di vista fotografico, di quello dei Genesis 1967-1975, ma più lineare nella grafica. Presenta scritti dei membri del gruppo e di collaboratori ed estimatori, come Anthony Banks, proprio lui, il grande tastierista dei Genesis. Non si creda però che i due cofanetti siano simili anche nel contenuto musicale.
Non ci si attendano molte versioni dal vivo o inediti assoluti. Il fatto è che il gruppo di Peter Hammill, a differenza di quello di Peter Gabriel, aveva già in precedenza pubblicato registrazioni radiofoniche, demos, inediti o rari: ad esempio in “Repeat Performances” (1980), “Time Vaults” (1982), “Maida Vale” (1994). Per questo l’iniziativa risulta complessivamente meno interessante della precedente. Passata la prima e legittima delusione ci siamo però dedicati ad una analisi più approfondita. I quattro CD ripercorrono l’intera carriera del gruppo, da “The Aerosol Grey Machine” del ’69 al live “Vital” del ’78. Nel primo non mancano incisioni radiofoniche inedite, come le tre datate 1968, e dunque precedenti l’uscita del primo album: fra esse troviamo anche la terrifica “Necromancer”. Anche tre brani di “The Least We Can Do Is Wave To Each Other” sono rappresentati da incisioni della BBC. Interessante quella di “Refugees”, più scarna e senza coro nella parte finale. Poi però “White Hammer”, da “The Least…”, “House With No Door”, “Killer” e “Lost” da “H To He Who Am The Only One”, sono prese di peso dai rispettivi albums, il che sa vagamente di riempitivo.
Il lato positivo consiste nel fatto che la rimasterizzazione, in questo caso, è stata utile: pezzi come “Killer” o, nel secondo CD, la lunga suite “A Plague of Lighthouse Keepers”, dall’album “Pawn Hearts”, ne hanno indubbiamente guadagnato in chiarezza del suono e definizione dei particolari. La suite in particolare ci ha offerto un ascolto per certi versi nuovo, crescendo ulteriormente nella nostra stima, già alta. Sempre nel CD n° 2 troviamo una registrazione BBC del ’71 di “Theme One”, il breve ma incisivo brano strumentale composto da George Martin e adottato anche come sigla radiofonica: uscito nel 1972 come singolo era poi stato inserito solo nella versione statunitense di “Pawn Hearts”. Segue “W”, lato B del singolo sopracitato. “Pawn Hearts” è completato dalle versioni live di “Lemmings” e “Man-Erg”, tratte dal concerto del 9 agosto 1975 a Rimini. La qualità sonora lascia parecchio a desiderare, malgrado l’opera di pulitura sicuramente attuata, e il fruscìo è chiaramente avvertibile. Evidentemente si tratta della riesumazione di un vecchio nastro grezzo che in circostante normali non sarebbe mai stato reso noto: la differenza con le registrazioni live, pur anch’esse inedite, dell’Archivio n° 1 dei Genesis, è macroscopica. Sebbene ci sia per questo motivo difficoltà nel giudicare, anche il livello dell’esecuzione non ci pare eccelso.
Nel terzo e quarto CD troviamo infine la seconda parte della carriera dei Van der Graaf, quella iniziata da “Godbluff” del ’75, qui rappresentato da “Arrow”, “Sleepwalkers” (ambedue nella versione dell’album) e “Scorched Earth”, sempre dal concerto riminese. Manca solo “The Undercover Man”. La band britannica non conosce la banalità e il facile pop per cui, pur non trattandosi di composizioni memorabili all’altezza di quelle del primo periodo di attività, offrono pur sempre elementi interessanti, come certi toni da caffè-concerto di “Sleepwalkers”. Lo stesso dicasi per i brani di “Still Life” (1976), tutti presenti, sempre nelle versioni tradizionali: pezzi generalmente meno incisivi che in passato, più diluiti e indefiniti. Con alcune eccezioni rappresentate per esempio dalla grandiosa “Pilgrims”, dove Hammill trova una intensità interpretativa notevole. Non male nemmeno “La Rossa” e lo spunto tematico iniziale di “My Room”, secondo noi non sfruttato adeguatamente. Pur non perfettamente coesa, la lunga “Childlike Faith In Childhood’s End” (oltre 12 minuti) regala momenti di autentica emozione e una delle interpretazioni più potenti di Hammill. Insomma, è sempre un piacere ascoltare questi solitari e coraggiosi eroi del rock, estranei alle mode e perseveranti nella loro personale via musicale.
La raccolta si conclude, nel quarto disco, con brani di “World Record” (sempre 1976), “The Quiet Zone, The Pleasure Dom” del ’77 e del live “Vital”. Della prima opera sono presenti tutte le tracce tranne “A Place to Survive”. Brani tutt’altro che brutti, dove però inizia a serpeggiare una certa stanchezza strumentale e vocale: troppo lunga e un poco noiosa risulta “Meurglys III”, mentre in “When She Comes”, un buon pezzo, fa capolino una melodia spagnolesca. Bella la compatta ed effettistica “Wondering”, dominata dall’organo di Banton: un brano che sembra adattarsi ai nuovi tempi senza però perdere in personalità. In “The Quiet Zone…” del ’77 i fiati di Jackson sono sostituiti dal violino di Graham Smith; il che risulta certamente un elemento di rinnovamento, ma non necessariamente positivo. I saxofoni e il flauto di ‘The Jaxon’ costituivano, costituiscono, uno dei marchi di fabbrica dei Van der Graaf, uno degli elementi basilari della loro musica. Nell’ultimo album in studio del gruppo se ne sente la mancanza e non si trovano chiare ed efficaci idee musicali. Due dei suoi quattro brani presenti sono in versione radiofonica, sempre per la BBC. Peter Jackson rientrerà comunque l’anno seguente per il tour di concerti testimoniato da “Vital”.
Be’, ripensandoci, il titolo ‘The Box’ non è assimilabile a quello ‘Archive’ relativo ai Genesis, è più generico. Questo per dire che in definitiva questo cofanetto ha più che altro aspetto e funzione di raccolta, e come tale è riuscito piuttosto bene. La storia del gruppo è testimoniata con equilibrio e completezza. Esso è quindi consigliabile specialmente per chi, pur volendo conoscere le opere della seconda fase, non ha intenzione di acquistare i quattro albums originali. Senza contare naturalmente la presenza di versioni che mostrano in ogni caso elementi di novità, e che possono attrarre i fans dei Van der Graaf che non possiedano già le raccolte precedenti. Ma il consiglio più grande che possiamo dare è quello di non perdersi i tre albums maggiori: “The Least…”, “H To He…” e “Pawn Hearts”