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A. Moffat e M. Middleton ritornano alla materna etichetta scozzese Chemical Underground (fondata dai Delgados) per sfornare il nuovo album che possiamo considerare un vero capolavoro. Le atmosfere di questo ultimo “The Red Thread” (trad. “Il filo rosso”) sono angosciante, malinconiche; si celano dietro arrangiamenti scarni, talvolta elettronici: lenti accordi che accompagnano versi biascicati, narrati lentamente, quasi con frustrazione da un cantante Aidan Moffat (questi dal vivo dà il meglio di sé, assumendo atteggiamenti bukowskiani e disinibiti) che riesce a rendere tutto così coinvolgente.
Questo lavoro è una sequela di canzoni che come “filo rosso” conduttore hanno il tema amoroso, sessuale al limite del morboso, un concept album come erano stati i precedenti. Ogni pezzo evoca una storia (che sia di vita vissuta o no poco ci importa): dall’amante geloso che scopre le relazioni segrete della sua donna sfogliando di nascosto il suo “SEX DIARY” (lo splendido singolo “Love Detective”) ai ricordi di un passato che non sarà più (la malinconica “The long sea”).
Un album che non è fatto solo di soli testi, ma di melodie che resteranno impresse nelle vostre menti (la splendida “Last orders” e la quasi elettronica “Scenery”), che accanto a tanta amarezza riusciranno a trasmettere con la loro intensità un forte “appagamento uditivo”.
Dall’esordio meraviglioso, piccolo capolavoro di solo pianoforte, chitarra e voce, alla ultima traccia “Turbolence”, dalla base di batteria martellante e effetti di sottofondo che mi ricordano certe atmosfere dell’ultimo lavoro della band Yo La Tengo “And the nothing turned…”, gli scozzesi Arab Strap riescono a suscitare nell’ascoltatore le più svariate emozioni. Nella traccia “Infrared” sembra palesarsi l’influenza dei conterranei Mogwai, con chitarre rilassate e basi di batteria campionate, sensualissima è l’eco di voce femminile che accompagna questa ottima canzone.
Un solo aggettivo per descrivere questo capolavoro… BELLISSIMO.