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Signore e signori, ecco finalmente il “Greatest Hits” dei Bluvertigo. Qualche maligno potrebbe sostenere che, data la scarsa modestia di Morgan e soci, ce lo si poteva aspettare già dopo il primo album. E invece, dopo ben tre album, ecco arrivare “Pop Tools”, una summa che chiude e conchiude quel progetto di “trilogia chimica” a dire il vero mai troppo seguito e sviluppato.
Al contrario, non è necessario scomodare un genio del Male per immaginare che questo disco scaturisce principalmente dall’esigenza di “sfornare” un cd intero dopo la partecipazione della band a San Remo. Da tale impellenza nasce un disco composto da dodici brani tratti dai primi tre album del gruppo, più due inediti.
L’album apre con “Comequando”, ineditissimo anche per gli affezionati del Festival, un brano che mette in luce l’anima più “sintetica” dei Bluvertigo, composta da algidi synth e da melodie squadrate, troppo squadrate per essere amate. Verrebbe da dire che momenti musicali come questi sono il più fedele tributo alla new wave anni ’80, ma forse è già stato detto.
Dal futuro prossimo al passato remoto. I quattro brani successivi, tratti dal primo album “Acidi e basi”, ci scaraventano indietro di quasi dieci anni, e ci propongono un’ispirazione ancora non propriamente affinata. Canzoni come “Iodio” o “Decadenza” sono un compromesso ancora non risolto fra la voglia di innovazione e la canzone “leggera” dal ritornello facile.
Tutt’altra musica si respira con i brani tratti da “Metallo non metallo”. E qui troviamo i Bluvertigo come li conosciamo oggi (e infatti non è passato poi così tanto tempo. Ma c’era proprio bisogno di un “Greatest Hits”?), con canzoni divertenti come “Altre forme di vita” o vere chicche d’autore come “Cieli neri”, impeccabile nella concezione e nell’arrangiamento. Peccato che le versioni presentate in questo disco siano quelle dei singoli. Valore aggiunto per chi possiede solo gli album o opportunità persa per chi si accosta per la prima volta? Alla fine, comunque, vale la pena di dir che tali versioni escono decisamente perdenti nel confronto con quelle contenute negli album. Come immaginare “Fuori dal tempo” senza quella folle coda di archi in chiusura?
Il capitolo “Zero” è storia più che recente. Questo disco, oltre a segnare il definitivo turnover dei chitarristi all’interno del gruppo, avvia il quartetto monzese verso una strada di non ritorno, segnata da synth dai suoni taglienti e lancinanti, drum machine impazzite, armonie stralunate e melodie a tratti al limite dell’innocenza, come in “La crisi”.
E finalmente eccoci al brano che giustifica l’intero disco. “L’assenzio”, canzone forse eccessivamente bastonata al Festival della Canzone Italiana (anche se è quasi superfluo ricordare come ciò non voglia dire nulla sul piano artistico), incarna l’anima più “pop” dei Bluvertigo, con il suo ritornello cantabile e il suo arrangiamento sintetico che è ormai un marchio di fabbrica. In sostanza, nulla toglie e nulla aggiunge a ciò che ci aspetteremmo da questo gruppo. Ascoltando le ultime note di questa canzone, viene voglia di sperare in un imminente VERO nuovo album. Nel frattempo, ci accontentiamo di “Pop Tools”, un disco che più suscitare un reale desiderio di possesso, perlomeno rassicura sul buono stato di salute di una band che vale la pena tenere costantemente d’occhio.