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Concepito nell’estate del 1998, “White Ladder” sembrava l’ennesima scommessa (la quarta per l’esattezza) dell’allora ventottenne David, spesso apprezzato dalla critica quanto ignorato dalle classifiche. L’album viene registrato in una piccola stanza londinese, con le finestre aperte sul traffico sottostante, ed il risicato budget permette una strumentazione ridotta all’osso: chitarra acustica, sampler e computer. Ricevuto l’incarico di comporre alcune canzoni per il film “This Year’s Love”, il cantautore di Manchester si butta a testa bassa nel lavoro, trovandosi alla fine con una decina di pezzi, un po’ troppi per la commissione ricevuta, giustissimi per la compilazione di un album. L’uscita di “White Lladder” è contraddistinta dalla stessa reazione ricevuta dai suoi predecessori: ottime o buone critiche, vendite inesistenti.
Dopo quasi un anno, il miracolo comincia a realizzarsi. In Irlanda il singolo “Babylon” ha un’improvvisa impennata, alcuni gigs di Gray nell’Isola Verde sono accolti entusiasticamente, l’album stesso irrompe nelle classifiche e nel dicembre del 1999 comanda l’Irish Top 10. Per diventare profeta in patria, David deve aspettare l’anno seguente. La stessa “Babylon”, seguita in rapida successione da “This Year’s Love” e dalla stupenda “Please Forgive Me” fanno da traino a “White Ladder”, che diventa un fenomeno da più di un milione di copie. Davvero una bella favola questa di David Gray, e bisogna ammettere che il suo è un successo limpido e meritato. L’album è molto affascinante, dall’umore dolceamaro ed ottobrino tipico di molti cantautori britannici. La voce ha un impatto molto suadente e forte al tempo stesso, un ibrido fra le finezze di John Martyn, la dolcezza di Martin Stephenson (il Fabio Concato d’Albione) e le asprezze erotiche di quel matto di Rod Stewart. Insomma, parliamo di un vero soul rocker!
Oltre ai tre singoli nominati, veramente indovinati, citiamo la bella ballata “My oh my”, la tesa ed ottimamente interpretata “Sail away” ed il riuscito tributo ai Soft Cell del geniale e discontinuo Marc Almond: “Say hello wave goodbye” è ridotta ai minimi termini, spogliata di ogni orpello barocco tipico della personalità di Marco Mandorla, rivelata in tutta la sua tragica bellezza.