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Chi mai sarà quest’uomo che ci guarda dietro quegli enormi occhiali scuri, con quella specie di sorriso enigmatico, un po’ snob? Si direbbe un impiegato della City londinese, fotografato durante la pausa brunch in qualche parco della capitale inglese? A parte il parco (Richmond Park per l’esattezza), non avremmo capito nulla. Ripreso dalla macchina di Kevin Westenberg, Neil Hannon fa l’ingresso nella nostra vita di appassionati musicofili, dalla quale aspettiamo ancora che esca, vista l’infilata di capolavori che ci “costringe” a riservargli una stanza nel condominio degli Intoccabili. In questa Divina Commedia britannica, il Virgilio di turno sarà proprio Hannon, insospettabile irlandese di Londonderry.
“Liberation” è statisticamente il secondo lavoro del gruppo, preceduto tre anni prima dall’inconcludente ed ingenuo “Fanfare for the comic muse”, pubblicamente abiurato da Neil. Consideriamo quindi “Liberation” come primo capitolo di questa brillante e personalissima avventura.
Se paragonato con la maggioranza degli albums usciti in quel periodo, “Liberation” risulta quasi anacronistico. In piena era grunge ed acid jazz, con il fenomeno brit-pop in fase di lancio, ascoltare queste tredici canzoni piene di harpsichords e corni francesi lascia un po’ interdetti. La classicità quasi sfacciata delle musiche sorprende al primo ascolto ed al tempo stesso scatta un meccanismo subdolo di seduzione, che circuisce l’ascoltatore fino a fargli inserire stabilmente il tasto repeat.
“Liberation” è un disco bellissimo, che contiene almeno quattro capolavori e centinaia di semi per i lavori futuri. Tra un sample di un dialogo fra Daniel Day-Lewis e Julian Sands nel film di James Ivory “Camera con vista” (all inizio di “Death of a supernaturalist”) ed un’amalgama di tre frammenti poetici di William Wordsworth (“Lucy”, uno dei quattro capolavori), ci lasciamo andare nella malinconica leggerezza di “Bernice bobs her hair” (con Julian Cope come nume tutelare su di essa) e “Your daddy’s car”. Oppure scopriamo l’incanto pop di “The pop singers fear of the pollen count”. Hannon sembra possedere la rara qualità di rendere tutto facile, liscio, melodico, pur pescando spesso nel torbido. E intanto ripartiamo con “Festive Road”…