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Il disco d’esordio dei La Crus chiarì immediatamente le intenzioni del gruppo: attingere alla grande tradizione della canzone d’autore italiana per interpretarla secondo un gusto moderno e attuale.
Un percorso durato anni che ha portato il gruppo milanese a registrare l’ultimo bellissimo lavoro “Crocevia”, composto esclusivamente da cover, ma che ha inizio proprio in queste tracce. Non è un caso, infatti, che due degli episodi più convincenti del disco siano le riletture di due classici della canzone italiana: da un alto “Angela” di Luigi Tenco, affidata a tastiere e rumori di fondo e impreziosita dall’armonica di Joe in un’atmosfera scura e laustrofobica, dall’altro “Il vino” di Piero Ciampi, con chitarre acustiche, spazzole e tromba in un clima jazzato e malinconico. Come in questi due brani nel disco convivono diversi mondi e influenze, Conte, Fossati e De Andrè, oltre a Tenco e Ciampi, ma anche Leonard Cohen e i cantautori francesi, Tom Waits e Nick Cave, i Joi Division e gli Young Gods, la passione per i suoni moderni e la tecnologia. Avviene così una riscrittura assolutamente personale della canzone d’autore, con cui raccontare inquietudini e desideri, paure e sogni, costruendo atmosfere scure e affascinanti, sporcate da strani rumori di fondo. Succede nei brani originali, nell’iniziale “Natura Morta”, dall’incedere lento e inquietante e poi nella splendida e distesa “Lontano”, dove tra l’altro si ascolta “Voglio andare via, Lontano da qui”, a descrivere tutta la propria inquietudine interiore.
Un tormento che torna nel brano più famoso del disco, “Nera Signora”, un felice incontro tra chitarre acustiche e campionamenti, una ballata densa e profonda. Altrove quando il ritmo accelera, si assaporano brani ipnotici, “Tarab”, stridenti, “Dove è finito Dio”, di jazz ossessivo, “Notti Bianche”. Un disco a tratti ancora acerbo, non privo di qualche ingenuità, il valzer “La giostra” ad esempio, ma che regala alcune grandi canzoni. Un primo passo importante nella musica italiana contemporanea.