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Leonard Cohen, classe 1934, fa parte di quella cerchia di artisti che hanno costruito un proprio mondo, una propria inconfondibile voce con cui arrivare direttamente all’ascoltatore. Come Caetano Veloso e Paolo Conte, Serge Gainsbourg e Bob Dylan. Ognuno di questi autori ha una cifra stilistica del tutto personale. Riconosci immediatamente le loro voci uniche, riconosci la loro scrittura, l’umore che avvolge le loro canzoni. Cohen, in particolare, è un poeta della canzone, un autore che ha composto intime e scarne ballate, belle e profonde come è difficile trovarne nella musica degli ultimi anni.
Ora questo disco dal vivo, registrato nel dicembre del 1979, raccoglie giusto una manciata di quei brani. Suonate con maestria da un eccellente gruppo di strumentisti e da due coriste mette in mostra tutto il fascino di Cohen. I brividi arrivano dalle classiche ballate lente e intime, la sempre emozionante “Bird On the Wire”, la delicata storia di un addio, “Hey, That’s No Way To Say Goodbye”, il ritratto sofferto di “Stranger Song”. Altrove l’atmosfera diventa più sofisticata, vicina al jazz, “The Smokey Life” e “Why Don’t You Try”. E’ invece davvero spiazzante (e del tutto fuori luogo) il richiamo al leggero soul di “Memories”.
“Field Commander Cohen” è un disco intriso di nostalgia, in fondo, che non aggiunge nulla all’arte di Leonard Cohen. Serve giusto a ricordarci di questo personaggio, che dopo l’ultimo lavoro in studio “The Future” del 1992, ha deciso di ritirarsi in un monastero zen vicino a Los Angeles a meditare. Ne è uscito nel 1999 e le ultime notizie lo danno di nuovo al lavoro. Questo album ci ricorda il carisma e il fascino di un grande artista. Un disco dedicato a chi non può fare a meno di Leonard Cohen.