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Sapete la costa ovest, quella del gangsta rap, del g-funk di Dre, della superstar Eminem? Con loro, fianco fianco, prosperano le menti underground dell’hip hop californiano. Abbiamo già conosciuto i Jurassic 5, e con loro il discorso era facile. L’old school, rispolverata e tonificata, suonava ancora, e con che risultati! Quasimoto, è tutto un altro problema. Anche lui affezionato ai suoni del passato, li risolve però in maniera sconcertante. Fa il produttore di mestiere. Suona, insomma. Magari l’avete sentito, è solo un nuovo alias di Madlib. Bene, “The Unseen” fa come una mostra, o come un museo del suono che fu. Lo prende, lo infila in teche di vetro, in uno stanzone hi-tech, lo illumina con fasci a fibra ottica, ve lo mostra come non l’avevate mai visto. Non sembri una critica. E’ un’esperienza da provare, se vi basterà la pazienza, e se non odiate chi vi canta in falsetto su una base minimale e ricchissima di rumori tutt’intorno.
Vi basterà la pazienza? Io ho dovuto aspettare il secondo ascolto, per convincermi che valeva la pena fare il terzo. Di lì in avanti tutto facile. “The Unseen” è un progetto stimolante, senza scuole e senza discepoli. Almeno per ora. A volergli trovare un papà, alla lontana si potrebbe recuperare un signore del calibro di Diamond D. Per lo spirirto, non per il sound. Il sound, è ciò che vi aspetta in questo disco. Lasciate stare i testi. Madlib e i suoi (pochi) ospiti rappano, ma solo per assecondare la base. C’è un uso spropositato di vocoder, che è poi quell’attrezzo per distorcere la voce che usava 2Pac per cantare “California Love”. Okay, forse non è proprio un vocoder, né un lavoro sulla voce come in qualche pezzo dei Portishead. Il nome preciso è ‘diggin’ in tha box’. La cosa che si avvicina di più è ‘falsetto’, ma quando sentirete rappare capirete di che parlo. Fatto sta che in questo modo anche la voce è una traccia sintetica da accoppiare agli altri suoni. E fra campioni, scratch, e un mixing da neurochirurgo, spunta un nuovo street style. Uno stile preciso e ragionato, ma sporco, metallico, pletorico. Di primo acchitto prevale il caos, e l’impressione nemmeno troppo pellegrina che si tratti di un collage selvaggio di beat. Questo collage però è preciso e ragionato, abbiamo detto. Lo sporco e il disordine sono accessori di una base ineccepibile.
Mettete in conto una quantità di scorie sonore, e supererete indenni il primo ascolto. Capisco per altro che si possa venir catturati immediatamente dall’invenzione musicale di Madlib. Comunque se così non fosse, ve lo ripeto, fatevi coraggio e riprovate. Non potete perdervelo.