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Se ne vedono di tutti i colori oggi nel mondo del “new metal”: band come Korn e Limp Bizkit, che hanno totalmente monopolizzato l’attenzione delle masse di ragazzi, Generazione X di figli di Napster, hanno dato adito ad una incalzante escalation demografica di cloni che ne ricalcano le orme.
Fortunatamente però, capita di imbattersi in gruppi come quello che mi appresto a recensire che ti fanno venire voglia di rispolverare i sempiterni album che hanno fatto la storia del crossover. “The Deadlights” è uscito l’estate del 2000, ma credo che possa rappresentare un ottimo motivo per riaprire un capitolo che sembra ormai chiuso. Dire che un pezzo come “Nothing” mi fa venire in mente i monolitici Tool di M.J. Keenan non è una bestemmia.
Questa band californiana sintetizza una tale rabbia che neppure il pogo più violento riuscirebbe a saziare (“Bitter”, “Junk”). La storia è sempre la stessa: riff di chitarra pesantissimi e linee di basso che evocano il Fieldy dei primi album dei Korn ed un cantato che alterna ottime prestazioni groove a ritornelli melodici alla Billy Corgan… (ebbene sì, credo che lo stile canoro del notorio leader degli Smashing Pumpkins abbia influenzato notevolmente Duke, lead vocals dei Deadlights): le bellissime “Sweet Oblivion” e “Foolish Pride” ne sono la manifestazione più evidente.
Tutti i pezzi riescono ad essere protagonisti: dall’esordio carico di frustrazione “Bitter” alla rabbiosa “Sado”, per non parlare della quasi “deftonesiana” “Whores” e della bellissima “Pox Eclipse”.
I Deadlights hanno saputo attingere con stile alle band mainstream del crossover di vecchio stampo senza per questo peccare di originalità. Ascoltate questo disco e mi darete ragione. Da segnalare in veste di produttrice Silvia Massy… vi dice nulla? TOOL docet.