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Milano è bagnata da una pioggia insistente e il suo aspetto malinconico sembra uscire giusto da uno di quei ritratti ironici e surreali che Vinicio Capossela le ha cucito addosso e che proporrà anche in questo concerto, come “Le case” o “La Pioggia”. Uno Smeraldo stipato lo attende di nuovo a quattro mesi di distanza dall’ultima esibizione. Quando sale sul palco è stranamente laconico, sembra non voler farsi trascinare, per rimanere concentrato sulle canzoni. Così il concerto vive soprattutto di musica all’inizio. Da “Bardamù”, con l’andamento malinconico che subisce improvvisi scossoni, al procedere sghembo di “Marcia del camposanto” e ancora “La canzone del decervellamento” e la nostalgica e dolcissima “I Pagliacci”. Suona tutto emozionante come sempre, avventuroso e divertente, il gruppo affiancato ancora da un quartetto d’archi è assolutamente impeccabile. Poi arriva quella follia in musica che è “Maraja”, “una canzone da corsa” come la descrive Vinicio e l’atmosfera si scalda. Capossela diventa incontenibile, gioca, si traveste, corre e da lì sarà un inarrestabile turbine di trovate. Scalda il pubblico con “Canzoni a manovella” e subito dopo “L’affondamento del Cinastic”. E non si interrompe praticamente mai, suona senza pausa, senza sosta. Un interprete formidabile. Quando il ritmo si fa quieto sfodera canzoni assolutamente magiche, “Come una rosa”, con i suoi profumi di Sud America, e “Signora Luna”, che si rivela essere una ballata degna di Morricone. I momenti più intimi, i classici rispolverati da Vinicio, la sofferta “Scivola Vai Via” e il bellissimo omaggio a Modigliani di “Modì”, scorrono accanto alle evoluzioni da cabaret di “Corvo Torvo”, con tanto di travestimento da volatile, e alla ritmata “Zampanò”. Acclamato, tirato sul palco ancora, regala una infuocata “Il ballo di San Vito”. La fine arriva con “Resto qua”, le cui note malinconiche suonano come un arrivederci. A presto, si spera.