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di Luca Rossi
Ore 21.10 : Si abbassano le luci in sala, un applauso di incoraggiamento come si confà al protocollo teatrale…
… Silenzio …
“BUM ! BUM !” … “Bardamù”; lievemente emozionato, seduto ad un piano dallo stile “Parisienne” compare il “domatore” (V.C.) di corde, percussioni, “corazzieri trapanati”, “dirigibili all’idrogeno”.
Sullo sfondo, in ombra ma ben presente, il “Palombaro con la sua tuta da calamaro”, non più “calato per il paranco” ma riemerso dagli abissi per emozionare “A MANOVELLA” un caloroso pubblico.
Un concerto… Non solo da ascoltare.
Un variegato, pacato, progressivo e ben strutturato gioco di luci e ombre proiettate sullo sfondo, fanno da scenografia alla fedele acustica del teatro, ma soprattutto alla maestrìa dei musicanti e allo “stravagante” Vinicio”, che “gioca in casa” ma non delude, anzi… comincia una scaletta che ripercorre gran parte dell’ultimo album “Canzoni a Manovella”: il ritmo dapprima incalza, poi si smorza; alterna brani movimentati a riflessive “ballate” e simpatici intermezzi introduttivi dei pezzi a seguire; gioca con pistole sonore, occhiali luminosi, e gadget che divertono lo spettatore.
Non potevano mancare la “senza età” “Scivola vai Via”, “Corvo Torvo”, “La Giostra di Zampanò”, l’incalzante “All’una e trentacinque circa” e “Sabato al Corallo”, implicitamente dedicata a “giovani”, e meno giovani, “di provincia emiliana”.
V. scherza con il pubblico, appronta 2, 3, falsi finali e ci intrattiene simpaticamente. Ed eccolo rientrare con un vestito color ocra per ricominciare da “Al Veglione”.
Virtuose varianti strumentali, di tempo e battuta, rendono “diversi”, talvolta più piacevoli, i suoi brani.
Il pubblico è variegato, molti giovani, un po’ meno i giovanissimi, ma molti i signori e le signore che apprezzano compìti il concerto.
Ci auguriamo di avere ripercorso con i lettori almeno un po’ delle emozioni che noi, come tutto il teatro, abbiamo vissuto per 26 brani e 2.20 ore circa di piacevole musica… anche se soltanto dal vivo si possono percepire appieno.
In chiusura un brano dedicato al perenne “compagno” di ogni artista…
…”il sipario resta”, la sala lentamente si svuota dopo interminabili applausi.
Al termine, sicuramente stanco, Vinicio non si nega ad incontri, autografi e strette di mano del “discreto” pubblico del Teatro Valli.
Nella stupenda cornice di un gremitissimo Teatro Valli di Reggio Emilia, uno dei molti gioielli di una provincia italiana che non si finisce mai di scoprire ed amare, abbiamo assistito all’ennesima grande performance di Vinicio Capossela. L’artista originario di Hannover, oramai col passaporto da Apolide ad Honorem, ha trovato un pubblico reggiano già in amore prima che la sarabanda cominciasse. L’apertura del sipario è stata infatti accompagnata da un’immediata ovazione, come se Vinicio fosse alla ventesima canzone!
L’artista ci introduce dentro il suo stralunato e variegato mondo con “Bardamù”, magnifico pezzo di apertura anche dell’ultimo “Canzoni a manovella”. Da subito siamo proiettati in un viaggio a ritroso, dove aereostati sorvolano le nostre teste, le ballerine sono ancora in fila come nell’avanspettacolo ed il Mar Baltico è ancora un mare affascinante e suadente, senza petroliere che lo sporcano e ponti che lo vogliono cancellare. Il pubblico pende dalle labbra di Capossela, che non si fa pregare a condurlo nelle segrete pieghe dell’ultimo album. Dall’omaggio patafisico ad Alfred Jarry in “Decervellamento” alla commovente “I pianoforti di Lubecca”, la scusa è quella di viaggiare, ed immaginare di prendere uno di quei vecchi treni con i sedili di legno e partire, andare verso la Mitteleuropa dei valzer e delle polke, fermare la locomotiva in una piccola stazione dei Carpazi e buttarsi in una sfrenata danza zingara. E poi ripartire ancora, arrivando fino alla Grecia ed al Bosforo, per poi risalire verso la Crimea e le pianure dell’Ucraina e della Polonia. Non ci si ferma più, il carbone è sufficiente per scavalcare nuovamente le Alpi, buttarsi nelle nebbie padane, fermarsi a fare il pieno in qualche bar di stazioni improbabili, Ostiglia, Occhiobello, Massalombarda. E magari proprio in questi bar di stazioni immerse nel nulla, un’orchestrina suona per i non paganti qualche standard di New Orleans o “La mer” di Charles Trenet, e allora chissenefrega del tempaccio e dell’umidità…
Se Capossela deve ringraziare qualche secolo di musica popolare, qualche umore rugginoso di Paolo Conte e le vecchie “saturday nights” di Tom Waits, noi dobbiamo omaggiare Vinicio ed esortarlo a portare avanti questa sua ricerca musicale, che diventa teatro immaginifico in momenti come ieri, che si racchiude in una sola parola, magica e vitale per le nostre esistenze: cultura.