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I Black Crowes tornano a far parlare di sé. E questa volta le lodi sono tutte per loro. Dopo il fortunatissimo tour con Jimmy Page, la band dei fratelli Robinson esce con “Lions”, un disco in cui si respira tutta la maturità e, allo stesso tempo, tutta la freschezza di un gruppo che ha fatto dell’immediatezza e della spontaneità il proprio vessillo. Una spontaneità che si percepisce già dal primo brano, “Midnight From The Inside Out”, con la sua “falsa partenza” da “garage band” alle prime armi, quasi a voler ribadire: “Non c’è niente di costruito”.
Ma a chi vogliono darla a bere? Anche l’immediatezza è un’impressione che va allestita e cesellata finemente. A questo ci pensa Don Was, produttore abile e sapiente, il quale riesce a riprodurre per tutto il disco in maniera ineccepibile quel sound “vintage” tanto caro ai Black Crowes e ai loro fans più legati al rock anni ’70. E così le chitarre, parche di assoli e prodighe di riff, si fanno più pesanti e sporche che mai, e la batteria assume quei toni epici e avvolgenti che solo le bacchette di Keith Moon o Bonzo Bonham sapevano ricreare.
A parte gli inevitabili e doverosi richiami al passato, i Black Crowes pare abbiano spostato il baricentro della loro ispirazione. Meno blues e più rock, quel rock sporco che li avvicina ancora di più alla tradizione americana (Creedence, Allman Brothers Band, addirittura Neil Young) o, tanto per rimanere in tema, a “Physical Graffiti” degli Zeppelin. Esempi a questo proposito possono essere “Lickin’”, con il suo delizioso riff che si diverte a giocare con il feedback della chitarra, o “Cosmic Friend”, brano multiforme che dopo una strana intro di pianoforte si abbandona ad un imperioso incedere di chitarra e batteria, o la delicata “No Use Lying”, figlia di quel suono di Lesile che parla da solo.
Il blues trova i suoi spazi in canzoni come “Ozone Mama” o “Greasy Grass River”, brano in cui Rich Robinson sfodera dalla chitarra la sua vena “sudista”, rievocando i fasti di Duane Allman.
Veramente pochi i momenti soft. Chi ricorda i Black Crowes per canzoni come “She Talks To Angels” si troverà leggermente spiazzato. Carine le due ballate presenti nel disco, “Miracle To Me” e “Lay It All On Me”, anche se non aggiungono molto valore al disco. In ogni frangente, comunque, il cantante Chris Robinson offre una prova più che convincente, con una voce spinta alle massime altitudini (al punto che in certe canzoni si avverte quasi la sensazione che stia pensando: “Ma come canterebbe questo brano Robert Plant?” Ma questa, signori, è malfidenza).
“Lions” è una altissima prova di raggiunta maturità artistica. Dopo fasi di successo alterne, problemi di droga e altre amenità, questo disco è un’autentica festa di rock e di colori, come l’intro afro-funky di “Young Man, Old Man” o un brano come “Soul Singing”, in cui ci viene da cantare in coro con Chris Robinson: “I’ve traded my black feathers for a crown”. Forse non una corona, ma la nostra fiducia e l’appuntamento in occasione della loro prossima tournee possiamo darglielo senza ombra di dubbio.