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David Byrne aggiunge un altro prezioso tassello al suo fortunato percorso da solista. A distanza di quattro anni dal precedente “Feelings”, l’ex leader dei Talking Heads torna con “Look Into The Eyeball”, un lavoro contenente tutti quegli ingredienti che fanno di questo artista uno dei maestri del pop mondiale: l’amore per le atmosfere e i ritmi esotici, la voglia di raccontare storie strane ed improbabili (non a caso ricordiamo la sua ammirazione dichiarata per il nostro De Andrè), il tutto servito con quella leggerezza ironica che ti fa dire: “Sono solo canzonette”. Forse. Ma la sapienza e la maestria con cui Byrne riesce a produrre questo ottimo pop d’autore non è affatto da sottovalutare.
Il disco ci accoglie con “U.B. Jesus”, con la sua intro cadenzata da un mite ritmo tribale che cresce e sfocia in un trascinante ritornello. Il resto delle canzoni oscilla tra questa passione per le ritmiche africane (che ricordano tanto e soprattutto i Talking Heads di “Naked”) e atmosfere decisamente più “old fashioned”, con linee melodiche e armonie che riprendono la tradizione bossa nova (i più sofisticati parlerebbero di “lounge”); un omaggio esplicito al mondo sudamericano è contenuto in “Desconocido Soy”, cantato in spagnolo, con la partecipazione del cantante NRÜ di Café Macuba. In questo pezzo, come del resto nella maggior parte degli altri, si nota la presenza massiccia ma mai ingombrante di una sezione d’archi che si alterna tra soffici tappeti armonici (come in “The Great Intoxication” o “Smile”) e autentici ruoli da protagonista (come nella già citata “Desconocido Soy”, in cui il violoncello punta il ritmo alla pari di un bongo, o nella tesa e cupa “The Accident”, in cui gli archi ricreano l’ambiente ideale per questa piovosa detective-story).
I momenti più riusciti possono essere ritrovati in due brani: “Like Humans Do”, canzone in cui l’esperto occhio di Byrne si ritrova ad osservare con primordiale e ironico stupore la vita e i suoi semplici ma mai scontati ingranaggi, accompagnato da una trascinante onda “tropical”; “Neighbourhod”, splendido slow-funky alla Barry White, con tanto di orchestra e flauti caraibici.
“Look Into The Eyeball” è un disco per tutti, sia per quelli che amano le “canzonette”, sia per quelli che apprezzano e seguono chi del pop ne ha fatto un’autentica forma d’arte.