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Entrano sul palco per prime le tre coriste della ensemble nazionale di Sofia, in abito tradizionale, e intonano il “Pippero”: ricordate? Elio e le Storie Tese? I servizi segreti bulgari? Un esordio ironico, piuttosto in linea con il carattere della serata. Dopo un secondo pezzo vocale fanno il loro ingresso, nell’ordine, la Weddings & Funerals Orchestra, il temibile braccio destro Radivojavic, infine il conducator, in candidi abiti.
La band comprende complessivamente sette ottoni: quattro tube e tre trombe. A cui va aggiunto un sax contralto. Se consideriamo anche le percussioni di Radivojavic risulta dunque corretto parlare di una vera e propria banda. Con una curiosità. Le tube, se non andiamo errati (e può sempre accadere), sono del tipo wagneriano, una sorta di anello di congiunzione fra la famiglia delle tube e quella dei corni. La batteria dei fiati costituisce senza dubbio una delle armi segrete, la primaria, della musica di Bregovic; specialmente nelle esibizioni dal vivo senza orchestra. Chi di noi, almeno una volta, non è stato colto da sùbita esaltazione nell’ascoltare le fanfare e le marce più o meno fracassone di una qualsiasi banda di dilettanti? Possiedono – e comunicano – una sorta di forza e vigore primigeni, che si trasformano in entusiasmo quando musica e musicisti sono di prim’ordine, come in questo caso.
La musica per film di Bregovic è dotata, come di rado accade, di una grande fruibilità (ed eseguibilità in pubblico), perché dotata di una struttura spesso affine a quella della canzone tradizionale. Ciò le conferisce grande impatto sull’ascoltatore e notevole memorizzabilità. Acquista inoltre uno status autonomo. A monte sta l’abilità del musicista serbo-croato nel combinare gli stilemi della musica etnica con quelli del pop e di altri generi, come il jazz, creando uno stile – un linguaggio – internazionale e di grande effetto. Prova ne sia anche solo l’ampiezza del suo pubblico, che apprezza, crediamo, in primis la ballabilità – dunque il ritmo – di gran parte di questa musica. Per sovrappiù l’arrangiamento bandistico snellisce parecchio la musica e smorza la tristezza di brani come “Ederlezi” (da “Il tempo dei gitani”, di Emir Kusturica) che, al pari di tutti gli altri, acquista vitalità rispetto alla versione standard. Il carattere acustico del concerto è, in qualche pezzo, contaminato dall’elettronica di una base ritmica registrata, prevista peraltro già nelle eversioni originali. “Mesecina” è ottimo risultato di questa contaminazione fra sonorità tradizionali e tecnica moderna, anche se al concerto sarebbe forse più adatta una sezione ritmica totalmente dal vivo, più consona allo spettacolo. In conformità all’organico a disposizione sono state privilegiate le musiche di ispirazione gitana e popolare, rispetto a quelle più marcatamente cinematografiche. Dunque, oltre alle già citate, ricordiamo almeno “Cajesukarije cocek”, “Kalasnjikov” (da “Underground” di Kusturica, così come “Mesecina”), “Elo Hi” (da “La regina Margot” di Patrice Chéreau), “Get the Money” (da “Arizona Dream”, sempre di Kusturica).
La chitarra elettrica di Bregovic è un puro orpello; un po’ più influente quella acustica. Vero protagonista è Radivojavic, che infatti è al centro del palco: canta con la sua bella voce calda (davvero magico il duetto con il boss), suona la fisarmonica e, soprattutto, sgobba e si fa i muscoli (anzi, se li è già fatti!) sulla gran-cassa e sulle altre percussioni. Il sax cede due o tre volte il posto al clarinetto, suonato per lo più con stile lamentoso e orientaleggiante per cavargli sonorità quasi oboistiche. Un’ottima prova di tutti in definitiva, coronata, durante i bis, da virtuosistici assoli delle trombe e del sax. Un Bregovic perplesso di fronte al comportamento delle zanzare reggiane, che prima succhiano sangue (il suo) e poi si suicidano nel bicchiere di whisky (sempre il suo), dà poi il via alla sarabanda finale, con plurima ed esaltante ripresa di “Kalasnjikov” (al grido: ‘all’attacco!’) e ballo generale (più spesso semplici ancheggiamenti). Impossibile resistere.