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Se il 2001 ha guadagnato da tempo la sua odissea spaziale, ecco il prode Jay K che colma prontamente la lacuna musicale, lanciando il primo anno del terzo millennio nel pianeta funky, o almeno ciò che JK ritiene sia funky. In effetti il quinto album del folletto inglese si pone più vicino ad atmosfere disco tipiche del periodo a cavallo tra gli sporchi ’70 ed i lindi ’80. Già dal pezzo d’apertura, “Feel So Good”, e dall’irresistibile “Little L”, si sente la grande influenza di gruppi disco-soul quali Earth Wind & Fire e Chic, con intromissioni di drum machines e clapping tipici dei più imbarazzanti hit discotecari ’81-’82. Sia ben chiaro, qui tutta funziona ed ogni cosa è messa al posto giusto, anche perché la statura artistica dello Space Cowboy si mantiene assai elevata, permettendosi citazioni perfino kitsch, ma funzionali al groove di ogni canzone. Abbiamo accennato alle due tracce che inaugurano “Funk Odyssey”, perfettamente inserite nello stile di questo gruppo-artista. “Feel So Good” parte come una nuova “Cosmic Girl”, anche se purtroppo si trova con la lingua fuori dopo un po’; la successiva “Little L” è invece degna di entrare nel Gotha dei grandi hits di Jamiro, col suo ritornello davvero efficace, le spruzzatine di “violini-disco seventies” cucite sulle piroette spaziali di JK, la ritmica basso-batteria che pompa senza sosta, arcigna quanto basta per tenere a terra arrangiamenti volutamente leggeri come piume.
In linea con la svolta filo-Prodigy di “Deeper Underground” – presente nella soundtrack di “Godzilla”… – rintracciamo cose più arrabbiate ed abrasive in “Stop Don’t Panic” e nella vagamente minacciosa “Twenty Zero One”, i due momenti in cui l’elettronica ha la meglio sulla solita leggerezza di JK. Sinceramente non ci piacciono molto questi episodi, i quali paiono sempre un po’ forzati e non veri.
Al contrario, si sta formando un’interessantissima corrente ballad nel repertorio Jamiro, testimoniata dalla riuscita “Black Crow” (in qualche modo debitrice dello Stevie Winwood più soul) e dalle bellissime “Corner Of the Earth” e dalla conclusiva “Picture Of My Life”, ambedue caracollanti al suadente ritmo di bossanova, con ottime spruzzate di piano e calibrati interventi orchestrali. La voce di JK è pienamente valorizzata nei suoi aspetti più soft e l’insieme dona la gradevole sensazione di un artista che ha tutti i mezzi per sfornare classici per tutte le orecchie, ricchi di musicalità e di note mai banali. Ehi Jamiro, non sarai mica già diventato un classico?!