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Un’attesa lunga tre anni prima di ritrovare i Lamb, che, con i due dischi pubblicati in precedenza, sembravano una delle più belle realtà della musica elettronica. Ma, come già successo ai Portishead, l’incanto è sembrato rompersi. Si spiegano così tre anni ad aspettare che uscisse questo “What Sound”, per un gruppo che nel frattempo pare sia stato perfino sull’orlo dello scioglimento.
Non che si noti che il tempo sia passato. Le parti migliori di “What Sound”, quelle canzoni lente e sofferte, in cui affiora un mare di emozioni, sono quelle di sempre, esattamente come accade ai migliori autori. Canzoni come quella che apre e dà il titolo al disco, affidata alla voce cristallina di Louise Rhodes, alle partiture di archi e praticamente a nient’altro. Un brano sospeso in aria, quasi del tutto privo di sezione ritmica, come in fondo era anche “Gorecki”, il piccolo capolavoro che stava sul loro “Debut Album”. Toccano le stesse corde “I cry”, malinconica e profonda, con ospiti Michael Franti degli Spearehead alla voce e Arto Lindsay alla chitarra, e l’incanto di “Gabriel”, ballata dal fascino assoluto, dove brillano ancora una volta gli archi.
Ma “What Sound” è un disco che sa anche proporre facce nuove. Tessiture ritmiche spezzate e raffinate, “Sweet” e la strumentale “Scratch bass”, e qualche contaminazione etnica che affiora in “One”. E poi l’approdo finale di “Just Is”, il brano più dolce, dove la voce di Louise Rhodes è più lieve e la musica, una tastiera e qualche effetto, quasi gioiosa.