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Forse qualcuno si è dimenticato che la musica “nera”, quella vera e più autentica, è fatta di “sangue sudore e lacrime”, giusto per parafrasare un gruppo degli anni ’70. Purtroppo oggi siamo costretti a sorbirci le insopportabili nenie di scimmiotte ammaestrate cresciute mangiando plastica e Janet Jackson (la più becera), circondate da insignificanti drum machine.
A ricordarci che il soul e il R & B sono ben altra cosa ci pensa Macy Gray che, dopo il disco rivelazione “On How Love Is”, ritorna con questo “The Id”, fresco, divertente, e così magnificamente “black”.
Il disco è una collezione di brani autentici e trascinanti, in cui la melodia riesce a trovare la giusta rilevanza accanto a trascinanti ritmiche. E così troviamo canzoni come “Relating To A Psychopath”, “Boo”, “Sexual Revolution”, intrise fino alle ossa di una micidiale carica funky.
Ma non di solo R & B è fatto questo “The Id”. Il disco è attraversato da piccoli e grandi gioielli che spaziano attraverso generi e influenze diverse; dai blues strascicati più che mai (“Don’t Come Around” ne è un bellissimo esempio), alle dolci ballate pop (la sintetica “Forgiveness”, e “Sweet Baby”, dalle progressioni armoniche e dagli arrangiamenti così rock), arrivando addirittura a strane marcette drogate alla Kurt Weill (“Oblivion”).
Su tutti i brani svetta la particolarissima voce di Macy Gray, non eccessivamente potente ma piena di sfumature timbriche; se non fosse troppo ingombrante, verrebbe da scomodare la leggendaria voce di Billie Holiday. Ma Macy Gray ha dalla sua anche la partecipazione di grandi artisti che non fanno che esaltare la natura “freak” (come ella stessa si definisce in una bellissima canzone dal ritornello trascinante) di questa “nera regina tra i bianchi”. Innanzitutto Rick Rubin, produttore ormai storico; poi lo stuolo impressionante di session men di alta scuola. Uno fra tutti, Billy Preston, storico pianista dei Rolling Stones (forse per questo “The Id” fa respirare quella atmosfera funky alla “Black And Blue”?). Per dovere di cronaca va ricordata anche l’immancabile sequela di “featuring”; in questo caso la presenza di “black stars” come Erykah Badu e Angie Stone, nulla aggiungono a questo disco e a quest’artista che non ha certo bisogno di squadre di mutuo soccorso.
Macy Gray, dopo il successo iniziale, si rivela un’ottima artista, eclettica e originale, probabilmente più vicina al rock e alle sue influenze che alla lenta agonia elettronica del soul.