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Uscito la bellezza di quasi due anni fa, l’album di esordio di Damien Saez ha in qualche modo seguito la stessa progressione di vendite e consensi del notevole “White Ladder” di David Gray. “Jours étranges” lo si può ancora trovare tra le novità dei maggiori negozi di dischi transalpini, consacrato anche dal pubblico dopo l’iniziale plauso della critica.
Saez nasce a Marsiglia nel 1977, figlio di una coppia algerino-ispanica. Diplomatosi al conservatorio a soli 17 anni (pianoforte), decide di buttarsi sulla più aggressiva chitarra, unendo così gli importanti studi classici ai fervori da teen ager. La scoperta di un cantautore-poeta come George Brassens lo fa appassionare alla scrittura ed è così che si arriva al Saez attuale, valido compositore ed autore di liriche spesso sferzanti e di denuncia.
“Jours étranges” si può inserire a buon titolo nell’attuale rinascimento rock (e non solo) francese, incredibilmente foriero di artisti e gruppi di grande pregio, roba da non credersi pensando a certi imbarazzi nell’ascoltare la maggiorparte del pop d’Oltralpe, dagli anni ’60 in poi. Che Jacques Dutronc (evitando di nominare quella macchietta di Johnny Hallyday) abbia trovato un degno erede? No, o meglio, a Saez mancano certe sostenibili lievità che rendevano spassose le tremende denunce a ritmo di beat di Dutronc. Damien è figlio del suo tempo, ha sicuramente ascoltato a memoria U2 (“Sauver cette étoile”) e Radiohead (la bellissima title track e l’altrettanto riuscita “Soleil 2000”). La canzone bomba dell’album è l’iniziale, trascinante “Jeune et con”, composta da un ritornello esplosivo intorno ad una chitarra abrasiva e da una forte dialettica che cerca proseliti tra i coetanei francesi. Se “Jeune et con” e la successiva “Sauver cette étoile” fanno pensare ad un disco roboante ed un po’ sopra le righe, bisogna evidenziare che i restanti 10 pezzi prendono arie molto più crepuscolari, con eccellenti risultati nelle già nominate “Soleil 2000” e “Jours étranges” e nelle altrettanto riuscite “Montée la-haut” e “Petit prince”, ultima eterea traccia di un album disomogeneo quanto vitale e propositivo.