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“Working Nights” è, diciamolo subito, un album eccezionale. La tentazione di limitare la critica a questa frase lapidaria è assai forte; d’altra parte, cosa ci sarà mai da “criticare” in un disco del genere?!…
Sappiate comunque che all’interno della classica e bellissima copertina troverete una miscela esplosiva di soul e jazz, con spruzzatine tempestive di saudade sudamericana in “Venceremos”, rap funkyzzato (“Stella Marina”, originariamente edita come 12″ allegato all’LP), ballate all’ultimo respiro (“Sweet Nothing”) ed una versione mozzafiato dell’intoccabile “Inner City Blues”, contenuta nella pietra miliare “What’s Going On” di Marvin Gaye. Chi avrebbe mai osato pensare che una cover potesse raggiungere se non superare l’interpretazione e l’arrangiamento di uno dei grandi Kings of Soul?!…”Working Nights” può a ragione essere considerato uno dei pochissimi capostipiti del genere acid jazz, definizione a quel tempo nemmeno ancora coniata. Inserito nella corrente cool jazz, molto in voga nel periodo mid ’80s, esso si distingue prepotentemente dal rigore stilizzato di artisti come Animal Nightlife, Blow Monkeys o Sade, presentando arrangiamenti molto più corposi ed una ritmica a volte trascinante che accompagna la voce di Julie Roberts, un portento di duttilità, potenza, classe ed eleganza. Al resto pensano i due compositori Stabbins e Booth, già legati dal precedente intrigante progetto Weekend. Produce Robin Millar, deus ex machina nelle più importanti realizzazioni del sopracitato cool jazz.
Basterebbe una canzone come “Thought I’d Never See You Again” a fare accettare un album di sole porcherie; il “problema” è che in “Working Nights” le altre otto canzoni sono perle assolute e che semmai la vera porcheria sarebbe quella di non darsi una mossa a riempire un’importantissima casellina sotto la lettera W.