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La mini tournée della cantante islandese si è aperta a Parma, incastonata nella cornice prestigiosa del Teatro Regio, da sempre tempio della lirica e di competenti melomani. L’altra sera, il severo loggionista parmigiano ha dovuto fare posto ad una legione di appassionati di Bjork, fortunati vincitori di una vera e propria caccia al biglietto.
L’attesa del grande evento è palpabile, ed un piccolo ritardo di mezzora nel programma agisce come amplificatore di una comune emozione a stento trattenuta. La serata finalmente si apre con il gruppo spalla, i californiani Matmos, veri ingegneri del suono che per una trentina di minuti mostrano ad un attento pubblico il loro campionario di rumori computerizzati, per poi passare ad un finale giocato su interessanti ritmiche ricavate da oggetti (una piccola gabbia, palloncini percossi come tamburi). L’interesse del pubblico è inoltre rapportato al fatto che il gruppo statunitense affiancherà Bjork poco dopo, come ha già fatto in molte composizioni dell’ultimo “Vespertine”.
Ancora venti minuti di attesa, ed eccola, finalmente. Quando nell’oscurità della scena s’intravede la sua piccola figura vestita da cigno, scalza, dall’intero teatro parte un applauso che si trasforma repentinamente in ovazione. Ancora un attimo di sospensione, il cuore in gola e finalmente si parte, con “Frosti”: sullo sfondo mega schermo con immagini di ghiacciai, iceberg, sul palco Bjork affiancata dai Matmos, da un coro femminile esquimese, coi costumi tradizionali dai colori sgargianti tipici della cultura Inuit e dalla eccelsa arpista Zeena Parkins, unica presenza costante sulla scena assieme a Bjork per la prima parte del concerto. Un primo tempo candido, introspettivo, in apparenza freddo, dominato dal magnetismo di Bjork, dai suoi balletti ed ancheggiamenti appena accennati, come una timida danzatrice del ventre, ed una voce assolutamente sensazionale, su registri quasi sempre altissimi, strozzata, modulata, sempre controllata da un tecnica rodata quanto totalmente personale. “Army of me” chiude il primo atto, il pubblico è già in delirio.
“All is full of love” apre la seconda parte dello show, ancora più magico, assolutamente trainante: l’elettronica dei Matmos si mescola agli strumenti classici dell’orchestra di cinquanta elementi, un impasto esaltato dalla grandiosa acustica del Regio. Le canzoni acquistano sempre più pathos, il Cigno Polare indossa ora uno splendido vestito rosso “amplificato”: quando l’artista si muove, saltella, balla, esso emette un suono come quello di nacchere o di slitte trainate sulla neve da cavalli bardati. Il clou della serata è compreso tra l’esecuzione della emozionante “I’ve seen it all” (tratta da “SelmaSongs“) e la finale “Bachelorette”, dove Bjork sconta le sole due piccole esitazioni nella sua passionale e raffinata esibizione, una lieve perdita di sincronia con l’attacco orchestrale. Assolutamente da ricordare le versioni di “It’s not up to you”, della magnifica ed irreale “Unison” e di “Hyperballad”, vero diapason di coinvolgimento emotivo dell’artista all’interno della sua creazione. Bjork si dimena in modo furioso e rapito, come impossessata dal ritmo e dalla melodia. Raramente si vede uno scambio di emozioni tra artista e pubblico così profondo e selvaggio al tempo stesso, è difficile rimanere seduti in questi momenti e invidiamo chi nella balconata può scatenarsi con lei.
Questa è una di quelle serate che si vorrebbe non terminassero mai, ed è bello il finale, con Bjork dolcissima che nel suo strano inglese ci presenta emozionata una nuova canzone ed un altro inedito, da entrambi i quali si intuisce un possibile nuovo viaggio verso sonorità più estroverse e semplici, sfruttando il coro esquimese nelle sue vere potenzialità ethno.