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Esiste una lunga serie di esordi che hanno segnato la storia della musica negli ultimi quarant’anni che parte dai Velvet Underground del celebre disco con la banana e dagli Stooges per arrivare fino ai Pavement di “Slanted and Enchanted”. “The days of wine and roses”, l’esordio dei Dream Syndicate, ha tutte le carte in regola per rientrare tra dischi come questi. Lo è per l’urgenza espressiva che esce da ogni singolo solco, per l’equilibrio tra irruenza e melodia, tra la fedeltà alle radici e il desiderio di seguire altri suoni. Quindi bisogna ringraziare ancora una volta l’ammirevole perizia della Rhino che lo ha ripubblicato, arricchito dall’EP d’esordio e da qualche rarità.
Correva il 1982 quando Steve Wynn, ai tempi musicista in erba e, guarda caso, impiegato proprio della Rhino, si imbatteva nella fascinosa Kendra Smith, in Paul Cuttler e in Karl Precoda. Erano tutti di Los Angeles e facevano parte di quella scena musicale che era lì lì per sbocciare. Insieme a loro sarebbero poi arrivati anche Rain Parade, Green On Red e Long Ryders, ossia il movimento denominato Paisley Underground. Tutti gruppi che avrebbero scritto pagine importanti del rock americano degli anni ottanta.
In particolare “The days of wine and roses” possiede quell’innocenza che solo i grandi esordi possiedono. Costruito su un suono di chitarre aspro e psichedelico, influenzato tanto dai Velvet Underground più psichedelici e dai Television, quanto dal Dylan elettrico. Come si diceva, da un lato le radici dall’altro i suoni nuovi del rock. Ne esce un pugno di canzoni che suonano vitali e pulsanti anche oggi, a quasi vent’anni di distanza. Nove pezzi in tutto, dall’inizio degno del miglior Lou Reed di “Tell Me When It’s Over”, fino al furore punk rock di “Then She Remembers”.
In mezzo appaiono un omaggio ai Velvet Underground più rilassati, “Too Little, Too Late”, con Kendra Smith alla voce, e un ricordo del Dylan di “Highway ’61 Revisited”, “Definetely Clean”. Fino ad arrivare a veri e propri classici. Come “When You Smile”, dove le chitarre fischiano lacerate in piena psichedelia. Poi “That’s What You Always Say” e “Halloween”, l’unico episodio firmato da Karl Precoda, e ancora “Until Lately”, una delle cose più grandi scritte da Wynn, sorretta dal’inconfondibile basso di Kendra Smith, con le chitarre che arrivano all’improvviso a colpirti. E ancora “The days of wine and roses” che chiude il disco con la sua irruenza travolgente.
Ne emerge con prepotenza la penna di Steve Wynn, autore viscerale e onesto come difficilmente se ne troveranno negli anni successivi, qui giusto all’inizio di una carriera che avrebbe certo meritato miglior fortuna commerciale. Lo dimostrano anche la travolgente “Some Kinda Itch”, dall’EP d’esordio, e i primi passi con i “15 Minutes”, qui proposti in chiusura, che ne fotografano il talento ancora acerbo. Un talento che a partire da questo disco saprà regalare grandi dischi. Da non farsi scappare.