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Dopo gli esordi sperimentali – musica d’avanguardia, elettronica e canzonette miscelate insieme – Battiato si avvicina sempre di più ad una forma canzone classica, sia con “L’era del cinghiale bianco” che con il successivo “Patriots”.
Ma è con “La voce del padrone” che raggiunge la consacrazione nazionale, risultando il primo disco italiano a superare il milione di copie vendute. Il motivo: oggi come allora l’album appare come il più perfetto dei greatest hits. Solo sette brani, ma quale perfezione! Solo sette brani, ma che compattezza, che uniformità, che varietà di idee e di composizioni! Impossibile scegliere un brano che si elevi al di sopra degli altri, impossibile e ingiusto, perché Battiato ha composto una sorta di concept album.
Si inizia con la splendida ouverture di onde e tastiere di “Summer on a Solitary Beach” dal ritornello inconfondibile (“mare, mare, mare, voglio annegare, portami lontano a naufragare, via, via, via da queste sponde, portami lontano sulle onde”) seguita dall’invettiva politica e sociale di “Bandiera bianca”, quasi una sorta di flusso di pensieri messi in musica, dove si cita l’alto musicale (Bob Dylan) e il basso popolare (Alan Sorrenti), dove prende il sopravvento l’ironia (“per fortuna il mio razzismo non mi fa guardare quei programmi demenziali con tribune elettorali”), si arriva ad inseguire note liberate nell’aria in “Gli uccelli”. Prima dell’esplosione di “Cuccurucucù”, impareggiabile brano pop che parte citando Mina e finisce citando Beatles, Bob Dylan, Rolling Stones in un entusiasmante ritratto degli anni ’60. “Segnali di vita” è forse il pezzo meno celebre ma la sua forma raffinata rapisce, così come colpisce la filosofia che traspare dal testo, propria del cantante siciliano (“si sente il bisogno di una propria evoluzione, sganciata dalle regole comuni”). “Centro di gravità permanente” è il simbolo della musica italiana anni ’80, punto di non ritorno di un’evoluzione che dimostra palesemente come la musica d’élite possa essere anche popolare, e racchiude al suo interno un’intera generazione (addirittura citata in “Sono come tu mi vuoi” dei CCCP). “Il sentimiento nuevo” chiude con suadente erotismo quest’album capolavoro, narrando di orienti lontani e magici, di piacere esotico (“i desideri mitici di prostitute libiche, il senso del possesso che fu prealessandrino”).
Il più raffinato connubio di pop e poesia che l’Italia abbia conosciuto, in mano ad un autore coraggioso e forse non ancora inflazionato nella propria immagine.