Share This Article
Finalmente al di fuori del preconcetto grunge che li aveva accompagnati all’inizio della carriera – “Ten” e “Vs.” – i Pearl Jam offrono quella che, a tutt’oggi, è una delle loro prove migliori. 14 canzoni che alternano momenti di durezza e di velocità a dolci e malinconiche ballate.
Lo stile Pearl Jam è ormai consolidato e lo dimostra già “Last Exit”, ultima uscita verso qualcosa di nuovo? No, ultima uscita verso la memoria. Si, perché in fin dei conti “Vitalogy” è l’album delle dediche e dei ricordi, della memoria e dell’immortalità. “Spin the Black Circle” è un trascinante ed estenuante omaggio al vinile (il cerchio nero), la seguente “Not For You” è una splendida ballata dedicata allo scomparso Kurt Cobain (“Restless Soul, Enjoy your Youth”), lui sìi incapace – per svariati motivi – di uscire dalla trappola dell’identificazione grunge. L’attacco di “Tremor Christ” con quelle chitarre pestate e distorte, è inconfondibile, così come lo svolgersi di tutta la canzone, avvolgente e ipnotico. Poi ecco arrivare “Nothingman”, con la sua calma, la sua dolce malinconia, la voce di Eddie Vedder che raggiunge corde nascoste e, subito dopo, la disturbata “Whipping”, seguita dall’ironica “Pry, to” dove privacy è la parola d’ordine. Splendidamente, quasi sottotono, ecco infiltrarsi “Corduroy”, e a seguire uno dei divertimenti dell’album, la strana “Bugs”, quasi un blues-folk parlato. “Satan’s bed” inizia con lo schioccare di una frusta e continua con una chitarra molto anni ’70, a dimostrare la variegata capacità di interpretare i generi dei Pearl Jam. E’ poi la volta della seconda ballata malinconica dell’album, la splendida “Better Man”, cui segue “Aye davanita”, altro divertissement del gruppo, che decide poi di terminare la sua cavalcata musicale con “Immortality”, altra stridente ballata, e con “Hey foxymophandlemama, that’s me”.
Oltre che nella musica la genialità dei Pearl Jam è riscontrabile nel libretto, sorta di dizionario medico, con annesse richieste assurde contro l’aborto da presentare a Clinton, foto di mura romane con la scritta “Bush Boia”, disegni di uomini e donne legati indissolubilmente da piercing. Insomma, un corollario del Pearl Jam pensiero, sorprendente, intrigante e seducente come la loro musica.