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Inizio anni ’80. In Inghilterra, come nel resto del mondo, si assiste ad una scena musicale quanto mai dicotomica: da una parte il successo commerciale della dance e dell’elettronica spicciola, dall’altra varie correnti musicali (dark, noise, punk) inserite sotto il nome generico di “New wave”. E il pop puro? Il semplice pop che tanta parte ha avuto nella storia della musica sin dagli anni ’60? Viene declassato a genere inferiore, con brani banali e banalissime rime.
E’ per dimostrare la validità del pop, per combattere questo luogo comune che Morrissey – voce e leader – e Johnny Marr – chitarra e armonica – formano gli Smiths. Il cognome più diffuso e banale dell’intera Inghilterra diventa il nome del gruppo che vuole sfatare il tabù della normalità e della banalità. Ai due fondatori si uniscono un bassista (Andy Rourke) e un batterista (Mike Joyce), e si dà il via ai giochi.
Le composizioni sono divise perfettamente a metà: i testi, originali, seducenti, caldi, melodrammatici e ironici sono affidati all’estro esuberante di Morrissey, le soffici intelaiature musicali alla mente di Marr. Il brano d’apertura, “Reel Around the Fountain”, dimostra da subito la validità del prodotto: la voce salmodiante, piena e fascinosa di Morrissey è quanto di più adatto per avvicinare le masse ad un nuovo verbo, complesso laddove prende forza dalla propria linearità. Un sottofondo da rock’n’roll primi anni ’60, tanto amore per il cinema underground (la copertina mostra Joe D’Alessandro in una scena del capolavoro di Paul Morrissey – che caso, eh? – “Flesh”, prodotto dalla factory di Andy Warhol) e un invidiabile gusto estetico condiscono il tutto e lo rendono praticamente perfetto. Brani come “Pretty Girls Make Graves”, “Suffer Little Children” (“yes, you could say we’re a team, you might sleep, but yuou will never dream!”), “Hand in Glove” e soprattutto il celebre “This Charming Man” non possono non colpire in profondità, con la loro carica di intelligente pacatezza, di raffinata delicatezza, di edificante humor.
Da qui partirà la breve ma intensa storia degli Smiths, poco alla volta sempre più specchio del proprio leader, portavoce di un mondo figlio allo stesso tempo dell’eleganza e dell’acume di Oscar Wilde e della provocazione e della fisicità della controcultura anni ’60. E portavoce di una musica che prenderà spunto da loro per evolversi e trovare compiutezza negli anni ’90, grazie a gruppi come gli Stone Roses, i Blur, i primissimi Radiohead (dopo questo cd riascoltatevi Pablo Honey).