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Primo paradosso: “Hai paura del buio?”, oggettivamente il più grande album rock italiano degli anni ’90 (insieme ai primi due album dei Marlene Kuntz e all’intero lavoro dei CSI), ebbe difficoltà inaudite a trovare una produzione. Alla fine gli Afterhours si affidarono alla Mescal.
In un periodo di invidiabile vena compositiva – l’album è composto da diciannove brani – Manuel Agnelli e soci compongono un’opera compatta e stimolante, capace di passare dal furore punk di “Male di miele” (“La sicurezza ha un ventre tenero, ma è un demonio steso fra di noi”), “Dea” (“Squarciami Barbara avrò la mente contorta lo so ma non m’importa”) e “Lasciami leccare l’adrenalina” (con quella voce che anticipa la chitarra dichiarando soddisfatta che “forse non è proprio legale sai, ma sei bella vestita di lividi”) all’introspezione delicata di “Pelle” – insieme a “Dentro Marylin” il loro capolavoro con il celebre ritornello che recita “forse sei un congegno che si spegne da sé” -, “Come vorrei” (“Strichinina sei una bambina, avrai una vita da cellula impazzita” canta Agnelli accompagnato da violino e pianoforte) e “Mi trovo nuovo” (“c’è un gioco che si gioca in tre, mentre protesto io vengo”).
Il tutto armonizzato e completato dall’angoscia sottile e disadorna di “Senza finestra”, dall’indie rock di “1.9.9.6.” – una canzone sulla sfiga, come la stigmatizza l’autore – e “Elymania” (“Silenzio pornografico, risvegliami, raccoglimi”), dalla furia melodica di “Veleno” e da quella non melodica del singolo “Sui giovani d’oggi ci scatarro su”, ripresa ancora più acida di “Siete proprio dei pulcini” del lavoro precedente. Anche qui l’attacco è rivolto ai “neo-alternativi”, ideologi non per scelta ma per moda, ed è un attacco senza mezzi termini (“come pararsi il culo e la coscienza è un vero sballo, sabato in barca a vela lunedì al Leonkavallo. L’alternativo è il tuo papà”).
Anche se gli spunti migliori rimangono l’inarrivabile dolcezza amara di “Rapace” (“E ora attirami a te per andare in un mattino sovrannaturale, fra cavalieri sieropositivi”), la genialità profusa senza mediazioni dall’incredibile psichedelia preregistrata – chiamiamola così – di “Simbiosi”, il pop perfetto di “Voglio una pelle splendida”, l’ossessiva serialità di “Punto g”, la disarmonia melodica di “Musicista contabile”. Spunti migliori di un album sorprendente e fondamentale per comprendere il rock italiano e le sue molteplici sfaccettature.