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Il testamento musicale dei C.S.I. passa attraverso una doppia raccolta. Non una scelta originalissima, bisogna dire, è ormai abitudine nell’ambiente del rock abbandonare i propri fans con una raccolta antologica. Ma qualcosa di diverso c’è. “Noi non ci saremo” non è un album antologico, non è un greatest hits banale e senza spessore; è una miscela di suoni, di registrazioni, di ricordi, di emozioni, un album con le fotografie più misteriose, con le memorie meno ovvie.
Si inizia con una versione di “A tratti” registrata durante un live a Lugano. Inconfondibile la batteria, i riffs di chitarra, la voce di Giovanni Lindo Ferretti che si insinua come a caso fra le trame musicali. Una profonda interpretazione di “Intimisto”, a metà tra l’elettronica e un coro gregoriano, la splendida cover di “Noi non ci saremo” di Francesco Guccini, con le tastiere di Francesco Magnelli in bella evidenza, la ripresa di “Tutti giù per terra”, brano composto per l’omonimo film di Davide Ferrario (l’intera colonna sonora è a cura dei C.S.I.), la straordinaria cover di “E ti vengo a cercare” di Battiato – quando mai una cover è stata così superiore all’originale? – si susseguono senza pause, intense, circolari, accattivanti.
I C.S.I. raccontano il loro passato, dai tempi passati in Bretagna alla tournée di “Tabula Rasa Elettrificata” passando per le tappe fondamentali della loro esistenza, come il concerto del 5 ottobre 1996 ad Alba, in memoria di Beppe Fenoglio. Fino ad arrivare alla data delle date, il concerto a Firenze con Goran Bregovic del gennaio 2000, da cui vengono riprese “Forma e sostanza”, “Fuochi nella notte di San Giovanni” ed “Ederlezi” – brano di Bregovic presente nella colonna sonora di “Underground” di Emir Kusturica, tappa ultima prima del doloroso scioglimento. Ma dopo questo intermezzo ritorna preponderante la memoria: il concerto per Videomusic del 1994, il concerto a Mostar Ovest nel 1998 (da cui simbolicamente viene estratta “Unità di produzione”), l’omaggio al gruppo offerto da un grande autore, Robert Wyatt, che canta dolcemente “Del Mondo”. E’ stato un tempo il mondo giovane e forte, odorante di sangue fertile…memoria della carne, riserva di calore, sapore, familiare odore. Questo è stato il Consorzio dei Suonatori Indipendenti, scia pacificante dei CCCP, da qui è nato il nuovo rock italiano, da qui bisogna farlo crescere. (raffaele meale)
Ultimo atto. Nessun appello. Nessun’altra possibilità. Gli ultimi due regali, con versioni dal vivo, inediti, pezzi quasi sconosciuti. Niente di nuovo, forse. I due dischi viaggiano tra (pochi) bassi, come ad esempio gli inediti, e (tantissimi) alti: la potentissima versione dal vivo di “A tratti”; la title- track; “Tutti giù per terra” (un consiglio spassionato: recuperate qualunque cosa abbia quel titolo, ossia il libro di Culicchia, il film di Davide Ferrario, la colonna sonora firmata dagli stessi C. S. I. e dagli altri gruppi del Consorzio); il bellissimo brano di Fenoglio letto da Ferretti intitolato “Il gorgo”; “Ederlezi” di Bregovic cantata da Ginevra; “Unità di produzione” live da Mostar, con tutta la tensione ben palpabile tra i solchi della canzone; “Del mondo” cantata da Robert Wyatt.
E ancora, dal secondo volume, l’urlo della mia adorata “Finistére” (una delle poche canzoni di dell’album d’esordio a non essere ancora stata omaggiata di una versione dal vivo), risalente al primo concerto del tour di “Ko’ de mondo”; “Chairman Mao” di Wyatt cantata interamente da Ginevra; “Brace” per quintetto d’archi e voce; “Nessuno fece nulla” da “L’Apocalisse di Giovanni”, spettacolo realizzato nel 1998 a Reggio Emilia.
Lo strumentale “Mongolishe” ha il compito di tirare il sipario su una delle storie più importanti del rock in Italia degli anni ’90. Una fine amara e inaspettata, un’amicizia frantumata dalle circostanze dopo quasi vent’anni (ho letto Ferretti dichiarare amaro in un’intervista: «la mia amicizia con Zamboni non è riuscita a diventare maggiorenne»). Cosa resta? Tre dischi ufficiali, due live meravigliosi, quest’antologia in due volumi, altri progetti sparsi, emozioni, rimpianti.
Ben poca della mia musica, dei dischi che fanno da colonna sonora alla mia vita, esisterebbe senza i C. S. I.. Mi si perdoni, ma non so essere imparziale su questo gruppo. E’ una tristezza lacerante tutto quello che riesco a provare sapendo che non esistono più. E allora non restano parole per ringraziare delle emozioni che queste canzoni ti hanno dato, e l’unica cosa che è possibile fare per chiudere è chiedere aiuto a chi sa scrivere meglio, e sa raccontare storie:
«Alzati da lì e vattene.” (così Baricco chiude il suo “Novecento”) “E’ finita. Questa volta è finita davvero». (daniele paletta)