Share This Article
Un disco importante? Certo. Un disco riuscito? Non completamente. Parlando di “T.R.E.” si è quasi obbligati a ricordarne l’enorme successo: si è parlato molto più spesso del suo sorprendente debutto direttamente al numero uno delle classifiche e delle 80000 copie vendute che del reale contenuto artistico del disco. Un album, si diceva, di qualità elevata, ma probabilmente non all’altezza dell’esordio di “Ko’ de mondo” e del capolavoro “Linea gotica”. Come tutti i loro album “principali”, anche “T.R.E.” è fortemente legato al luogo in cui è stato concepito, in questo caso la Mongolia: riferimenti ad essa sono presenti in tutto il disco, fin dai titoli (“Ongii”, “Bolormaa”, “Gobi”). Musicalmente sono di nuovo le chitarre a spadroneggiare, anche nei rari casi in cui il ritmo rallenta (non c’è quasi traccia del pianoforte di Magnelli).
L’iniziale “Unità di produzione” parte con un motivo quasi orientaleggiante, per poi essere scossa da una chitarra nuovamente capace di farsi violenta. E’ uno dei punti più alti dell’intero album, impreziosito ulteriormente dalle liriche di Ferretti, che crea «una canzone comunista, da cantare col pugno alzato e le lacrime agli occhi». Segue una canzone molto apprezzata da quasi tutti quelli che conoscono il disco, ma che a me personalmente non convince: appesantita da un ritmo lento, dalle chitarre distorte e dalle due voci intrecciate, “Brace” stenta a decollare, nonostante il testo sia – al solito – molto bello. E a questo punto arriva il Singolo: “Forma e sostanza”, con le sue valanghe di chitarre noise, il ritornello scandito come un inno e il suo grande impatto emotivo, ebbe l’effetto di una vera e propria bomba. Il successo dell’album fu in gran parte dovuto a questa canzone bella, dura, emozionante e lontanissima dalle solite canzoncine sceme passate dalle radio commerciali.
Dopo questa cavalcata emozionante, il ritmo, quasi come se fosse obbligato, rallenta un po’, lasciando spazio a canzoni lente e contemplative. Questa atmosfera domina la maggior parte del disco, con risultati altalenanti: bellissime “Ongii” (lenta e morbida fotografia del paesaggio mongolo), “Gobi” (una preghiera emozionante) e “Bolormaa” (tenue canzone su una contorsionista bambina, da ricordare almeno per un magnifico intervento vocale di Ginevra); molto meno riuscite “Vicini” (bella, ma penalizzata da una voce mixata troppo bassa in fase di produzione) e “Accade”. E ora, proprio quando la tempesta sembrava essersi calmata, riesplode elettrica con le ultime due canzoni, punk come il gruppo non aveva più fatto dopo la fine dei CCCP.
T.R.E. è nel complesso il disco meno riuscito dei C.S.I. . Triste, se si pensa che questo sarà l’ultimo disco a vedere Ferretti e Zamboni lavorare insieme. Dopo aver segnato due decenni di musica italiana, cosa sapranno fare da soli?