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Settimo album per i mancuniani Charlatans, nati sull’onda del fenomeno baggy di fine ’80 e ormai approdati a ben altri lidi. Sempre apprezzati in patria, sia dalla critica che dal pubblico, che li proietta al primo posto delle charts ad ogni nuova uscita, i Charlatans sono invece seguiti in Italia (purtroppo!) ormai solo da un ristretto gruppo di fedelissimi.
Abbandonato ormai da almeno un paio di album il suono dell’organo hammond, vero e proprio perno delle loro prime produzioni, anche a causa della morte del tastierista Rob Collins, in questo nuovo lavoro i Charlatans superano anche le ballad chitarristiche (per lo più acustiche) che avevano abbracciato di recente e che avevano portato nel 1999 al fiacco e scontato “Us and us only”. Cosa troviamo allora in “Wonderland”?
Prima di tutto la voce di Tim Burgess, che in molti brani adesso canta in falsetto, con effetti spiazzanti e talvolta un po’irritanti, mentre negli altri viene comunque filtrata. Poi un mix di black music: influenzati forse anche dalla loro nuova residenza a Los Angeles, i Charlatans inseriscono nel nuovo disco soul, funky (riattualizzando alla perfezione la lezione degli Happy Mondays, indimenticabili alfieri della scatenata Madchester di due decenni orsono) e r&b, con in più qualche accenno di elettronica, staccandosi da qualsiasi influenza britannica; tranne forse Mick Jagger, omaggiato da Burgess in chiusura della prima traccia “You’re so pretty”.
Possono ancora piacere a chi nel 1990 riempì il Rolling Stones di Milano per ballare “The only one I know”? Certo, perchè tutto viene fatto con molta classe, perchè il ritmo di molti pezzi è indubbiamente trascinante, e perchè tra i 10 brani si annida almeno un vero e proprio capolavoro, chiamato “And if I fall”. Applausi quindi ad una band che ha saputo rinnovarsi intelligentemente senza mai svendersi, e che per questo è stata una delle poche ad aver attraversato indenne gli anni ’90, ricchi di scene, mode e gruppi durati lo spazio di un mattino.