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I Marlene si ripropongono un’altra volta. Dopo il successo de “Il vile” portato in lungo e in largo in tour per l’Italia, tornano con un doppio cd dalle ambizioni altissime e, come vedremo, non pienamente appagate. Il concetto musicale è sempre lo stesso, riuscire a mischiare dolcezza e disturbante rumore, ma il risultato qui è meno sapiente rispetto a “Catartica” e a “Il vile”.
Il gruppo sfodera ancora ottimi brani, come le dolci “Infinità” e “Un sollievo”, la coinvolgente “Ineluttabile” e la rabbiosa “In delirio”, ma spesso pecca nei brani più duri. “Le putte” è, onestamente, una brutta canzone, troppo statica per elevarsi al livello di “Cenere”, e con un testo troppo volutamente freddo, cattivo, senza esclusione di colpi, così come non convincono “Questo e altro” e “Il naufragio” troppo già sentite, troppo vecchie, troppo inutili in fin dei conti.
A salvare il disco arrivano comunque, oltre alle canzoni già citate, “L’odio migliore” – seppure con qualche riserva – e “L’abitudine”, che tra l’altro appare quasi come un testamento con quella frase finale “ora la fine è già un’abitudine” che sembra quasi presagire l’abbandono della linea poetica a favore del nuovo piatto pop di “Che cosa vedi”.
Un discorso a parte merita invece “Una canzone arresa” che, pur colpendo molto al primo ascolto, rischia, per la sua stessa forma, di diventare col passare del tempo noiosa, bolsa (anche se il testo è splendido).
Che dire poi del secondo cd, quello comprendente le “Spore” – ovverosia quei mini brani strumentali che prendono forma in concerto, magari mentre si stanno accordando gli strumenti -? Un cd inutile, che nessuno può avere la forza e la voglia di ascoltare, troppo lungo, estenuante. Musica sperimentale? Forse, ma sicuramente non della miglior specie. A conti fatti “H.U.P.” rimane un ottimo album di un gruppo che mostra già però segni di stanchezza e di decadenza e, quel che è peggio, chiari segni di megalomania.