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Il secondo singolo estratto da “Amnesiac” è “Knives Out”. La canzone, forse la più immediata dell’intero album, ripresa del finale di “Paranoid Android”, apre quindi le danze, con la sua ritmica avvolgente, il suono delicato e pulito, la batteria regolare, la voce calma e pacificante che esprime in maniera sublime uno dei testi più duri dei Radiohead (“So Knives Out, Catch the Mouse”), la solita aria di sospensione che spesso accompagna la musica del gruppo. Se la scelta del singolo può apparire un po’ furba, a dispetto di un album così carico di significati e di sottotesti musicali, gli altri brani presenti dimostrano la straordinaria capacità interpretativa del gruppo. Già l’attacco di “Worry Wort” palesa questi concetti, una musica ricca ma mai ipertrofica, profonda ma mai manierista, megalomane ma mai narcisista.
Musica elettronica per cervelli fini, mediata attraverso un gusto per l’acustica raro (i Radiohead in fin dei conti non sono altro che il folle amplesso fra le nuove sonorità londinesi di fine anni ’80 e l’underground freak della New York di Andy Warhol) e una straordinaria finezza espressiva. Musica che raggiunge il suo apice nell’inimmaginabile “Fog”, ripresa di un brano intitolato in precedenza “Alligators in New York Sewers” e presentata con il nuovo titolo per la prima volta il 9 Luglio del 2000 a Caesaria, ultima tappa della tournée di “Kid A”. L’attacco del basso è eccezionale e il brano si dipana su un dolcissimo stuolo di strumenti, dalla tastiera alle sottili percussioni, e traina l’ascoltatore in un’atmosfera cupa e protettiva, cullata dalla voce di Yorke, a cui dà un’emozionante calore il controcanto di Ed O’Brian, prima che facciano capolino il tamburello, la batteria, la chitarra elettrica, prima che il brano esploda in tutta la sua bellezza. Se questo è un B-side! A chiudere il tutto una versione di “Life in a Glass House”, splendido brano jazz di chiusura di “Amnesiac”, a cui qui si aggiunge un’ouverture di fiati.