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Potentissimo, tribale, folle, iconoclasta, parossistico. “Play this power trio loud as hell” è il consiglio che si legge sul lato interno della cover e che noi non tardiamo a seguire, risvegliando il mai sopito maraglio (o tamarro, chiamatelo come volete, anzi no, maraglio è molto ma molto meglio) che è in noi e che non vede l’ora di litigare coi vicini col bimbo piccolo. Nessuna remissione, stereo a manetta e finestra aperta, che tutti sentano che Voi ve la state godendo un mondo, anche alle due del pomeriggio!
Signore e signori, Julian H.Cope è di nuovo tra noi ed ha scelto un modo parecchio rumoroso ed incazzato per ripresentarsi. Prima di tutto, il titolo, che fa presagire qualcosa di non indifferente, un titolo meraviglioso e libero, da un artista ed in primis da una persona assolutamente non catalogabile, comunque affrancata da qualsiasi moda e corrente. Il nostro caro Arcidrudo ci sbatte in faccia lo slogan che marca l’album per esortarci a tornare alle radici e alle cose davvero importanti: naturalmente prosegue l’opera attraverso un wall of sound con pochi precedenti, una tempesta di distorsione e wah wah, di parole smozzicate travolte da uno spaventoso magma sonoro degno di un vulcano in eruzione.
Proviamo a prelevare un campione bollente da questa lava, tentando di fare un’analisi chimica dei suoi componenti: basso (sovente fuzz), chitarra ritmica e voci appartengono a Julian H., percussioni e “concussion” donated by Kevlar (!), lead guitar generata da Dogman. Dietro a tali eccentrici soprannomi si nascondono due atomi impazziti delle antiche molecole Spacemen 3 e Spiritualized (A.Foster e K.Bales) ed insieme all’ex Teardrop Explodes attaccano i jacks a vecchi amplificatori valvolari: da essi fuoriesce con furia selvaggia una creatura che si alimenta con un minestrone ipervitaminico contenente Stooges, MC5, Uriah Heep, Blue Cheer, Who, Sex Pistols e migliaia di particelle cosmiche di krautrock.
“She saw me coming” e “Get off your pretty face” è un binomio d’apertura indimenticabile, una sferzata di energia che non ha pari nel panorama attuale, la voce stentorea ed autoironica di Julian. I testi sono volutamente ridotti all’osso, quasi cavernicoli, e gli argomenti sono da vecchio rocker sozzone (“She saw me coming” ne è un esempio lampante…), anche se non mancano richiami alle sue passioni. “Pagan dawn” è martellante ed ipnotica, mentre “Odin’s gift to his Mother” viene divisa in quattro movimenti di differente taglia ritmica, raggiungendo l’apice in “Consecrate the Fucker”, dove all’intensità del drumming e del riff chitarristico si aggiungono tali testuali versi: “Cunt for the day, cunt for the night, intuit the bitching…”. Un trionfo di gaglioffaggine e divertimento. Imperdibili inoltre lo stop and go “U-Know!” e la lunghissima “She’s gotta have it”, vero e proprio mantra distorto da due maniaci di wah wah e overdrive e da un folle percussionista.
L’unica traccia dove si può intravedere un barlume delle classiche melodie “copiane” è la marziale “Lughnasad”, la quale pare un outtake di “Autogeddon”. Per il resto il Grande Gallese si diverte a spiazzarci per l’ennesima volta ed a ribadire la sua totale eccentricità e specificità rispetto ad un mondo musicale (e non) da troppo tempo ormai ingessato in conformismi e griffes.