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Sicuramente da “Ko de Mondo” dei CSI nasce il rock italiano anni ’90. Probabilmente da “Catartica” questo rock inizia a diffondersi su larga scala. Sorti sul finire degli anni ’80 a Cuneo cercando di inseguire le sonorità di gruppi fondamentali dell’underground mondiale come i Sonic Youth e gli Einsturzende Neubauten, notati ma non premiati ad un concorso rock, i Marlene Kuntz riescono a essere pubblicati su una audiocassetta che comprende giovani gruppi italiani – gli altri sono tutti, logicamente, scomparsi senza lasciare traccia. I Marlene Kuntz riescono a entrare per miracolo tra i primi nove e si ritrovano in sala di registrazione con niente meno che Giorgio Maroccolo. Come dirà in un’intervista televisiva Giovanni Lindo Ferretti “ero in ospedale e mi portarono questo demo da ascoltare. Mi entrò in testa questa canzone e non riuscivo a farla uscire di lì”: la canzone in questione è “Lieve”, uno dei punti più alti dell’intero lavoro, mistione perfetta di dolcezza e asprezza.
I giochi chitarristici, come nella migliore tradizione Sonic Youth, sono al cento dell’attenzione e la catalizzano. I Marlene sanno sfruttare in maniera impagabile la loro intelligenza musicale e i loro punti d’ispirazione: la straordinaria “Merry X-Mas” sembra scritta da Thurston Moore in persona, e il testo la rende ancora più indimenticabile (“Parlami molto di quello che vuoi, chiedimi cento volte come mai, che fosse il dubbio di me se non mi trovo più ma non mi ridere non mi trascinare, no”) mentre la caustica “M.K” e la superlativa “Sonica” sono molto più di un semplice manifesto d’intenti. Soprattutto quest’ultima, con la sua lucida ricerca di un rumore armonico, con la sua distorsione, la sua carica emotiva, il testo placido e angoscioso (“Orso si sposta goffamente con passo irregolare nel flusso irregolare della gente che scontra”) che sfocia nell’urlo finale “sonica!!!”, dove nulla rimane se non il rumore, il frastuono, l’eresia ritmica.
Tutti i brani meriterebbero un plauso, ma certamente non si possono non enunciare le bellezze della dolcezza mistica di “Nuotando nell’aria”, il coinvolgente impasto sonoro di “Trasudamerica” (“spesso vorrei la magia di quegli odori che ci univano al cielo”), la cupa profondità di “Gioia (che mi do)”, l’ariosa leggerezza di “Canzone di domani” dove la schiettezza di Godano si fa impagabile (“Ecco di nuovo la storia, la stessa, ok: scopo coi giorni a venire ma non vengo mai”). Un album imperdibile, superbo. Una pietra miliare dell’ultima storia della musica italiana.