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Interessante e spesso affascinante questo secondo album della chanteuse di Cherbourg, la quale si distacca dalla incantevole malinconia acustica del lavoro d’esordio – datato ’97 – per approdare ad un suono più corposo e arrangiato, grazie soprattutto alla collaborazione di raffinati compositori della Nouvelle Vague francese. Dominique Ané (suo compagno anche nella vita), Philippe Katerine, Sacha Toorop, Yann Tiersen prestano a vario titolo la loro pregiata manodopera, mentre al banco mixer la nazionalità è americana, nella persona di Craig Schumacher, responsabile del suono Calexico, i quali a loro volta prestano la voce di Joey Burns nella delicata love song “La chanson d’Hélène”.
In effetti si può affermare che la materia sonora di “Vingt à trente mille jours” sia un melange di canzone francese ed atmosfere scarne da frontiera texana, come se Françoise Hardy interpretasse a modo suo quei classici irsuti made in Tom Waits, o che Barbara si avventurasse sulle polverose piste solcate da Mark Lanegan.
Il disco si apre con una bellissima ed ipnotica ballad – “Derrière le grand filtre” – tesa ma non troppo, un po’ in stile This Mortal Coil, ma senza quel rigor mortis tipico di quel progetto. Anzi, qui si respira una specie di brezza, come se si passeggiasse in una località della Costa Azzurra, fuori stagione. La voce di Françoiz è calda e matura, le chitarre lavorano in modo eccellente e l’Orchestra di Budapest pennella un finale indimenticabile. “Si tu disais” rimane sempre nell’ambito della ballata assai godibile, e qui già si sente quel citato impasto franco-americano. La malinconica “Portsmouth” (l’attracco più vicino per chi parte da Cherbourg…) anticipa la canzone più allegra e scanzonata dell’album, “L’origine du monde”, evidente giubileo dell’avvenuta maternità della cantante, un upbeat scritto ed interpretato con la rivelazione Katerine, talento transalpino rubato al basket!
I ritmi vanno e vengono dolcemente, e la voce altrettanto dolce della Breut interpreta testi pieni di emozioni, pienamente inseriti nell’ambito della canzone realista francese. Nelle tracce finali spunta il grandissimo talento di Yann Tiersen: suo il violino struggente nella sussurrata “L’heure bleue” e suo l’arrangiamento del meraviglioso pezzo finale, “Je ne veux pas quitter”.
Una citazione merita anche il poetico titolo, “Vingt à trente mille jours”: se le nostre vite vengono scandite dagli anni, qui si sezionano in singoli giorni, come se un gigantesco pendolo ci ricordasse ad ogni suo battito quanto sia preziosa ogni ora da noi vissuta.