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Figura minore nello sterminato panorama musicale americano, questo eccellente chitarrista merita una piccola introduzione biografica. Texano di Dallas, movimenta la scena di quella città e di Fort Worth nella seconda metà degli anni ’70, seguendo le tracce del sorgente movimento punk. Trasferitosi in California, egli forma un gruppo che porta anche il suo nome, Gary Myrick & The Figures. Nel 1980 esce l’omonimo primo album, una fresca miscela di new wave abbastanza leggera e mai banale. Se ne ricava anche un minor hit, la bella “She talks in stereo”. Purtroppo le successive uscite discografiche si riveleranno assai più deboli rispetto al debutto, così verso la metà degli anni ’80 l’artista decide di puntare tutto sul lavoro di sessionman. John Waite si accorge presto delle ottime doti di Myrick, arruolandolo nella sua band. Nel ’91 Gary incontra un suo grande idolo, Paul Simonon dei Clash, col quale forma gli Havana 3AM: Nigel Dixon alla batteria sarà il terzo membro di un terzetto che non decollerà mai da un rocketto piuttosto scolorito. E siamo ai giorni nostri, e a questo improvviso e sconosciuto ritorno, “Waltz of the scarecrow king”, senza ombra di dubbio la raccolta di canzoni più bella da quel lontano 1980.
Vent’anni sembrano perciò non essere passati invano, vista la maturazione e la svolta artistica di Gary. “Waltz…” è un disco che flirta strettamente con l’immensa tradizione country, filtrata da un amore palese per certi giri marziali di valzer alla Brecht/Weill e da un’affascinante commistione con atmosfere prossime alla cameristica. Gli strumenti sono tutti “naturali”, violino, viola, contrabbasso, più naturalmente le chitarre, sempre acustiche, una Washburn del 1894 (!) e un Dobro dal collo piatto del 1970. L’artista le mostra ambedue sul retro copertina, in una foto quasi antica nel suo orgoglioso candore.
L’album ha un attacco emozionante con “Honk if you love Jesus”, un country blues come non se ne ascoltano più da anni, incalzante, nervoso e contemporaneamente snello nel suo svolgimento. Colpisce anche la voce calda e centrata di Myrick, mai sentita così sicura e matura. “Fame is dangerous” è una degnissima damigella d’onore, tesa e leggermente in controtempo, mentre “Hometown waltz” è un semplice capolavoro a tempo di valzer, una canzone che ti entra dentro con la sua lievità e la sua patente malinconia. Assai vicina ad essa per qualità e per scansione ritmica è la splendida “Redeemer”, prima scarna e poi avvolta in un ammaliante abito di archi.
Se “Waltz…” rimane un buon disco, senza eccellere, la colpa risiede nel più accentuato mainstream della seconda metà del lavoro, dove Myrick non riesce ad andare oltre una buona atmosfera di frontiera modello El Paso. Forse doveva essere più saggio e distribuire meglio i primi cinque grandi pezzi. In ogni caso, appoggiamo sentitamente questa operazione di ottimo pregio stilistico, un country restyling che vede anche tra i suoi interpreti formidabili outsiders quali Mark Lanegan e l’immarcescibile Tom Waits. La musica cambia, le curiosità e le contaminazioni aumentano, le radici restano solidamente piantate: questo rappresenta Gary Myrick, ora, e quasi quasi ci basta.