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Un prodotto dei nostri tempi, dove le più varie influenze si fondono a plasmare un coerente concept album: sonorità dense, materiche, minacciosamente uniformi e ostiche in superficie ma nello stesso tempo nervose a accattivanti più in profondità. Un movimento musicale su due binari sovrapposti, paragonabile alle correnti marine o ad una giungla dalla fitta vegetazione, apparentemente immota ma in realtà piena di vita brulicante, misteriosa e piena di pericoli nascosti che la rendono segretamente attraente. Dapprima ne siamo respinti o, meglio, non ne cogliamo il sottile fascino che si insinua piano piano, come un canto di sirena.
La sirena in questo caso è Ross Marlow (basso e tastiere, autore di tutti i testi) con la sua voce ipnotica e ‘aliena’, che trasporta in un mondo fatto a mosaico, un decimo pianeta dove frammenti dei primi nove – dei più vari stili musicali – sono ricomposti in una entità nuova che li rielabora, li stravolge, li tende fino quasi alla rottura. Non pare, ma è un disco caratterizzato proprio dalla tensione quello del trio statunitense (con base a San Antonio, Texas): anche negli episodi che sembrano più distesi. L’esempio forse più evidente è quello di “Pards”: l’Oriente del sitar introduce una bella interpretazione del più tradizionale rock nord-americano. Ma dappertutto la moderna elettronica è accompagnata da un sistema percussivo di sapore ancestrale, a volte quasi tribale; il pop fa capolino, e contrasto, in mezzo ad atmosfere per lo più cupe, ad uno strumentale che corre spesso brillantemente al limite della dissonanza. Persino i passaggi cantati o strumentali più solari e melodici risultano straniati, come se fossero appena riemersi faticosamente da un abisso.
Non sappiamo quali fossero gli intenti e gli obiettivi di Ross Marlow, James Sidlo (chitarre e altri strumenti), Lisa Kuehl (batteria e percussioni), e neppure è così importate saperlo: a noi pare che “I-10…” si collochi degnamente, con la sua personalità, accanto ad altre opere post-moderne degli ultimi anni, quali “Outside” di David Bowie, “Tabula rasa elettrificata” del C.S.I., “Ovo” di Peter Gabriel.
Non ci dilungheremo a segnalare i brani degni di particolare menzione che, in questo album imponente che dura più di settanta minuti (forse un po’ troppi per mantenere l’attenzione allo stesso livello sino alla fine), sono davvero molti.
Si astenga comunque chi non considera l’ascolto della musica un processo graduale e, almeno in parte, intellettuale. Tutti gli altri possono dare un’occhiata a www.emigre.com.