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Sebbene non sia molto da gentiluomini parlare dell’età di una signora, va detto che Nada ha già 48 anni. Forse non sarà un dettaglio decisivo per parlare di questo disco, ma è stata la prima cosa che mi è venuta in mente ascoltando queste nove canzoni: molte ventenni arrabbiate (o presunte tali) pagherebbero per avere l’energia, il carisma e le capacità compositive di questa splendida donna, arrivata alla maturità artistica dopo ben 30 anni di carriera costantemente in bilico tra successi e scelte coraggiose e ribelli nei confronti dell’”industria”.
Ci sono moltissime cose in questo disco: ci sono vitalità, freschezza, energia. C’è un’anima che non smette di interrogarsi e un corpo che è debole e non può sopportare il passare del tempo. C’è la voglia di redenzione e un istinto che a volte si fa troppo forte e non si può reprimere (emblematica in tal senso “Meraviglioso”, nervoso sfogo al limite del punk, con un testo che lascia frastornati). C’è l’amore, che a volte è una tempesta che non lascia nulla (“Suonano alla porta”, punto d’incontro tra i CSI acustici e la PJ Harvey più dark, recita “legata solamente/a te che sei la mia morte/sei il mio sfascio/sei il mio senso di vita/e per questo mi assolvo”), e altre volte è solo la cosa più dolce entro cui perdersi (l’autoritratto conclusivo di “Questa donna”). E c’è anche un mondo intorno che disorienta e disgusta, come in “Gesù”, primo pugno nello stomaco del disco, crudo dipinto espressionista come un quadro di Ensor.
Canzoni intonate col cuore, dove ogni tanto qualche piccolo “squarcio di felicità” viene a distendere le atmosfere cupe disegnate da una voce incredibilmente intensa. Un disco sorprendente, una delle cose migliori che mi sia capitato di ascoltare durante tutto il 2001. Un ascolto impegnativo, ma anche un piacere al quale nessun appassionato di rock d’autore dovrebbe rinunciare.