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Fra i tanti loro meriti, Emir Kusturica e Goran Bregovic hanno avuto quello di rilanciare l’interesse per lo sterminato patrimonio musicale dei paesi dell’Est europeo, rivalutandone le radici e l’immutata carica vitale e spesso eversiva. Anche Sandy Lopicic, come i due illustri conterranei – se si può usare ancora questa parola in una terra nei fatti divisa in decine di orgogliosissime enclavi – ha dovuto emigrare per portare avanti il suo progetto musicale e per portarsi dietro un pezzo della sua amata patria. Bosniaco di Sarajevo, si trasferisce in Germania a causa dei noti tragici avvenimenti, e là forma appunto la S.L.O., assieme ai trombettisti Bojan Petrovic e Imre Bozoki, al bassista Sasha Prolic, ai locali Martin Harms (sax), Richard Winkler (clarino), Jorg Mikula (batteria) e Michael Bergbauer (tuba). Al fine di caratterizzare la band, vengono reclutate tre ottime cantanti, le quali formano da sole un incisivo spot contro la follia della guerra e delle atrocità etniche: Natasa Mirkovic-DeRo viene da Sarajevo come Sandy, Vesna Petkovic è serba di Belgrado, Irina Karamarkovic è kosovara! Comincia davvero a spiegarsi il titolo dell’album, “Border confusion”, album al quale danno un contributo essenziale i membri dei Deishovida (Kurt Bauer al violino, Matthias Loibner all’hurdy gurdy, Lothar Lasser alla fisarmonica).
L’impasto slavo-teutonico è in una parola sensazionale, i traditionals sono rivisitati con estremo gusto, passionalità e ricerca sonora. Per esempio, l’inno rom “Djelem djelem” si avvale di una ritmica funky, in vero stile acid jazz, senza comunque inficiare la bellezza arcana della melodia. “Da zna zora” apre fragorosamente il disco, una canzone da osteria bosniaca che nasconde sentimenti quasi poetici: “…se l’alba sapesse chi ho abbracciato stanotte, non sorgerebbe mai!…”. Si procede con “Jane Sandanski”, inno bulgaro-macedone agli eroi che combatterono contro i turchi, con la scoppiettante danza bulgara “Bugarski cocek”, perfino con un omaggio alla cultura albanese attraverso la straziante “Apo hapi syte”, dove una giovane donna piange il marito. Si ritorna poi su piste slave con la russa “Ljuba” e la canzone per matrimoni “Usti, usti babo”. Tra tutti questi standards folk si nascondono anche pezzi originali come “Le Rindovani”, dei mitici Bratsch (operanti in Francia da decenni ormai) e le due “Last”, in puro stile Rom, ma provenienti dalla felice penna di Matthias Loibner. Le interpretazioni delle tre vocalists sono di altissimo livello, con momenti di puro lirismo assai vicini alle atmosfere create dalle Voci Bulgare.
“Border confusion” è un album stupendo, a tratti commovente, fotografia nitida di quel mondo balcanico da sempre pieno di contraddizioni stridenti, di orrori e follie inusitate, ma anche di un approccio vitalistico e gioioso verso la vita, caratteristiche quest’ultime che sembrano ormai scomparse nell’annoiato e satollo Occidente.