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Chicago, 1992: gli Smashing Pumpkins di Billy Corgan, sorpresa indie dell’anno precedente con l’album “Gish” e stella nascente del firmamento rock statunitense sono sul punto di rottura. La favola sembra già finita: pare che tra il chitarrista James Iha e la bassista D’Arcy non corra buon sangue. Corgan, indisposto da queste voci e senza alcuna intenzione di alzare già bandiera bianca si chiude negli studi di registrazione della Virgin, accompagnato solo dal batterista di estrazione jazz Jimmy Chamberlain e dal produttore Butch Vig (produttore tra l’altro di Nirvana, Sonic Youth, Depeche Mode e L7): qui compone 11 pezzi, trovando tutte le linee delle due chitarre e del basso. Rientrata la lite tra gli altri due componenti il gruppo si trova quindi davanti un’opera già praticamente pronta. Dopo alcuni aggiustamenti e dopo aver aggiunto due brani composti anche da Iha (la dolce e malinconica “Soma” e l’incredibile “Mayonaise”, straziante nella sua andatura calma sempre sul punto di esplodere) “Siamese Dream” è pronto a infuocare il mercato rock.
Abbandonati in gran parte i voli pindarici e le attrazioni psichedeliche dell’album d’esordio, i quattro si concentrano su un materiale più debitore dei Pixies e di tutto il rock statunitense anni ’80. La mente di Corgan è una fonte zampillante di idee e lo dimostrano ampiamente brani come le dure “Cherub Rock” e “Sweet Sweet”, antitetiche alla dolcezza profusa in “Silverfuck” o “Luna”. Ma i brani migliori rimangono, oltre alla già citata “Mayonaise”, l’elettrizzante e travolgente “Today”, dall’intro oramai storico, e la devastante ed emozionante “Disarm”, che assume quasi un aria da concerto da camera, con quella campana suonata e quell’esplosione di archi: un brano veramente al di sopra della media del gruppo di Corgan.
Esempio lampante del frenetico momento di grazia che colse il gruppo tra il 1993 e il 1997, anno successivo all’uscita del mastodontico “Mellon Collie”, l’album che li pose sul podio tra le migliori band degli anni ’90 ma che li portò al contempo alla dissoluzione, incapaci di comprendere veramente la portata della loro fama e di sopportarla.