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Daniele Silvestri è sempre stato un tipo tosto. Le sue canzoni e i suoi giochi di parole sono vero cibo per il cervello dell’ascoltatore. Pozzi ricchissimi di idee, stimoli, temi, musicali e non. Ed è così anche “Unò-Dué”, il nuovo lavoro del sincero cantautore romano che si apre con “Salirò”, forse il migliore brano presentato quest’anno a San Remo: canzonetta orecchiabile e ballabile oltre che personale ed acuta (per cui poco Sanremese), con cui l’autore trasmette il proprio desiderio di riscattarsi da un periodo negativo.
Periodo negativo: infatti una delle sensazioni che si provano nell’ascoltare l’intero disco è quella di avere di fronte un Daniele Silvestri un po’ meno allegro di un tempo, leggermente più introverso e forse anche affaticato. D’altra parte ha recentemente perso il padre, e – proprio in queste settimane – sta per diventare, a sua volta, padre… E infatti l’indissolubile amore filiale viene cantato splendidamente in “Di Padre In Figlio”, uno dei brani più riusciti del disco, e forse il più toccante mai scritto da Silvestri.
Ma “Unò-Dué” non parla solo di cose personali. E il Daniele che conosciamo non si è per nulla rammollito, ha anzi ancora forza e volontà ferree, come si capisce ascoltando la traccia che dà il nome all’album, quasi una inesorabile marcia popolare che invita a non demordere. Così il cantautore in “Il Mio Nemico” si scaglia ferocemente contro le strategie antidemocratiche di chi sta (attualmente) al potere (“Il mio nemico non ha divisa, ama le armi ma non le usa, nella fondina tiene le carte Visa, e quando uccide non chiede scusa”, “La dittatura c’è, ma non si sa dove sta, non si vede da qua”), e si riferisce in modo abbastanza evidente anche ai recenti eventi del G8 a Genova. In “La Classifica” viene denunciata l’idiozia del futile mondo della discografia, recentemente dimostratosi anche autolesionista, arrivando a criticare più in generale le logiche esclusivamente commerciali che sempre più spesso vengono adottate anche in altri campi.
Ma va detto che le canzoni di Silvestri, anche quando abbracciano tematiche sociali e politiche, nascono sempre e comunque ‘da dentro’, dalla sua coscienza di individuo, dal bisogno di coerenza. Si parte dal modo che ognuno di noi ha nel porsi di fronte ai problemi, sia quelli piccoli e privati che quelli collettivi. Silvestri insomma ci invita a pensare; ci ricorda che siamo tutti individui dotati di cervello e ci spinge a mettere in discussione prima di tutto noi stessi: si prendano come esempio “Dipendenza”, esortazione esplicita a “riuscire in qualche modo a fare senza” di ciò che è abitudinario e superfluo, o “Mi Interessa”, concitato rock sull’esigenza di non restare inerti “come se già non ci servisse più la storia, non ci volesse più memoria, come se il mondo fosse solo materia”. E per forza che il Nostro risulta un po’ amareggiato: è terra bruciata intorno a lui, sempre più solo nel perseguire l’arduo compito di… ragionare.
Ma “Unò-Dué”, come ogni disco di Silvestri che si rispetti, è poliedrico e variegato, e quindi oltre alle canzoni di denuncia contiene momenti spensierati e divertenti, come il gioiellino pop “Sempre Di Domenica”, l’autoironica e pimpante “Manifesto”, la sgangherata e pigrona “1000 Euro Al Mese”. Altrove emerge la fine vena poetica dell’autore, come nella splendida “Il Colore Del Mondo”, così malinconicamente vintage e bossanoveggiante, o nella magia di “Sabbia E Sandali”. E in “L’Autostrada”: eccezionale, un’altra gemma del disco, un ritratto intenso ed allucinato della non-vita di un paesino lontano da tutto.
Dal punto di vista musicale si mischiano intelligentemente parecchi generi vecchi e nuovi, nel modo in cui ci aveva già abituati Silvestri, che suona in tutti i brani le parti di tastiera, oltre ad alcuni altri strumenti. In confronto ai suoi lavori precedenti si fa meno uso di chitarre, c’è insomma meno rock, e si nota anche una maggiore omogeneità data dall’utilizzo diffuso in tutto l’album di ritmiche elettroniche e di suoni leggeri, talvolta vagamente lounge, altre volte funky/dance in odore di anni ’70. Il tutto, mischiato con grande sobrietà, fa di “Unò-Dué” un disco che pur non rappresentando una svolta, suona comunque in modo abbastanza diverso dalle altre produzioni dell’artista. Non ha la ricchezza sperimentale de “Il Dado” o la pienezza ispirata di “Prima Di Essere Un Uomo” (lo stesso cantautore, nell’enigmatica ghost-track in chiusura, ammette che “non è più come prima di essere un uomo”), ma contiene comunque canzoni di ottima fattura ed è zeppo di spunti validi. Bentornato Daniele, sentivamo la tua mancanza.